lunedì 7 dicembre 2009

Lo Schizzo - Ifix Tchen Tchen

Tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli anni 80, proliferavano i romanzi pornografici, sorta di copia erotica degli altri fotoromanzi in cui si raccontavano storie più o meno banali o scontate.

Tra queste, edita in Francia e poi importata in Italia, esisteva "Supersex" dove l'attore protagonista, Gabriel Pontello, impersonava un alieno caduto sulla terra che, per sopravvivere nell'atmosfera terrestre, si era impossessato del corpo di un ispettore di polizia, per cui le varie storie erano incentrate su crimini e misfatti vari.

L'alieno protagonista poteva emanare un fluido misterioso che scatenava una pazzesca libidine e che eliminava ogni freno inibitore in tutti i presenti che si scatenavano in orge e giochetti vari.

Al termine di ogni amplesso, Supersex lanciava il suo "IFIX TCHEN TCHEN!" che era un grido di piacere e di liberazione allo stesso momento, ed indicava, appunto, l'arrivo dell'orgasmo condito da lanci di schizzi violenti del suo fluido organico che andavano ad imbrattare i corpi ed i visi perfetti di splendide attrici.

Schizzo che era plateale, esteriore, marcante, una vera e propria firma dell'attore.

Oggi, a 30 anni di distanza, la moda dello schizzo è venuta prepotentemente in auge in cucina, non più in bianco e nero come sulle riviste patinate dell'epoca, ma orgia tridimensionale ed a colori, schizzi e schizzetti di condimenti, salse, intingoli, che marchiano e segnano i piatti che ci vengono proposti.

Alcuni li chiamano "la firma dello chef in un suo impulso creativo".

Schizzano tutti, il grande chef come il piccolo cuoco di provincia, gli insegnanti ai corsi di cucina e perfino i pasticceri.
Si trovano schizzi anche ai buffet su tarte e tartine o dalla casalinga che ha preparato una cena un po' speciale per i suoi invitati.

Schizza Bottura, schizza Cracco, schizza Berton e schizza persino Adrià.
Anzi, mentre schizza idrogenizza istantaneamente in nuvola, chè lui è un Maestro anche dello schizzo.

Contemporaneamente, a certi deschi, spariscono oliera acetiera e saliera, il gustatore non può più schizzare in proprio, deve assogettarsi allo schizzo di altri, calibrato, colorato e perfettamente disposto, di traverso, di lato, in un angolo, tutto intorno o fin'anche al centro.

La auto masturbazione è esclusa.

Del resto lo diceva già De Sade: "Sistemati sul canapè, mia cara. Al resto penso io."

Ed alcuni grandi chef, come tanti Pontello ai fornelli, emanano un fluido magico, capace di instillare una vera e propria libidine, e con molto anticipo, ai loro ospiti che già assaporano nella loro mente l'orgia di gusti, aromi e schizzi finali che si sta preparando.

Forse, nel 2020, ricorderemo il primo decennio del 2000 come "l'epoca degli schizzi" similarmente a quando ci ricordiamo degli anni '80 e della panna.

O forse no, e gli schizzi di oggi verranno dimenticati nel rapido volgere di un boccone.

Senza neanche darci il tempo di esclamare: IFIX TCHEN TCHEN!

domenica 1 novembre 2009

Quando il pomodoro non c'era - Viaggio (ragionato) nelle salse ed intingoli

A guardare nei menu dei ristoranti o delle case di oggi, in Liguria il pomodoro sembra esistere da sempre. Invece da noi è arrivato tardi anzi tardissimo, ed ancora dopo si è imposto nei nostri piatti.

Ha iniziato ad essere coltivato solo come pianta ornamentale, come in quasi tutto il resto d'Italia, e fino a metà dell'800 non veniva utilizzato nella cucina ligure se non, raramente, nella sua forma da "insalata" (famoso è diventato il cuore di bue di Albenga anche fuori della nostra regione, solo nel corso degli anni 80 del 1900).

Quando G.B. Ratto, nel 1865, scrisse e stampò la Cuciniera Genovese, il pomodoro comparve per la prima volta in alcune ricette del libro, che risentiva, comunque, di notevoli influenze toscane.

Ma fino ai primi del '900 la cucina ligure era di fatto una cucina sostanzialmente "in bianco", come si è mantenuta in molte sue ricette ancora oggi.

Come ho già avuto modo di dire, la cucina ligure attuale si è sviluppata come contaminazione, nel corso dei secoli, di altre cucine, sia la piemontese, soprattutto nella riviera di ponente ed a Genova, sia con le cucine, i metodi e gli ingredienti che sono arrivati via mare nel corso dei secoli.

Gli influssi orientali si sono fatti sentire dapprima con le colonie genovesi in Crimea, ed i contatti con i popoli mongoli, ed in seguito con le varie ondate arabe che si sono susseguite nel Mediterraneo.

Dall'oriente abbiamo derivato molte preparazioni che oggi a buona ragione possono definirsi liguri, a seguito della ulteriore elaborazione dei metodi e contaminazione degli ingredienti sul nostro territorio, e tra queste alcuni dei nostri sughi, o sarebbe meglio dire salse, più famose.

E allora facciamo un piccolo viaggio nel mondo delle salse liguri, come si usavano e come vengono ancora proposte a tavola, tutte, rigorosamente, senza pomodoro.

Tutte le salse proposte di seguito non hanno una codifica ben determinata sia come ingredienti che come dosi, in quanto le singole famiglie spesso provvedono a modificarle a proprio uso. Vengono, quindi, riportati ingredienti e dosi che maggiormente trovano riscontro nella media delle ricette.

Nota: non verrà presentato il pesto, in quanto già se ne è lungamente discusso.



Agiadda (Agliata)
Zona di diffusione: Vessalico, tutta la valle Arroscia, entroterra ponentino, con varianti in tutta la Liguria fino a Sarzana.

Di questa salsa ne esistono varianti diverse, a seconda se ci si sposta più sulla riviera di ponente che in quella di levante, ed anche il nome cambia da agiadda ad aié.

Degli ingredienti originali, il primo che viene a mancare dirigendosi verso Genova è l'uovo, che rende questa salsa così simile all'aiolì francese.

L'ingrediente principe, comunque, rimane l'aglio, e possibilmente di Vessalico, che ha proprietà organolettiche precisamente individuabili.

Versione ponentina
La sua preparazione parte da ingredienti semplici ma la difficoltà sta nella "montatura" del tuorlo che, come in una maionese, si ottiene aggiungendo lentamente, a filo, l'olio, ovviamente extravergine di oliva.

Ingredienti:
un tuorlo d'uovo
2 spicchi di aglio fresco rigorosamente di Vessalico (Valle Arroscia)
olio extravergine di oliva
sale

Preparazione:
si pesta l'aglio nel mortaio fino ad ottenere un composto omogeneo.
A questo punto si aggiunge un pizzico di sale, il tuorlo d'uovo e, con grande abilità nel lavorarlo insieme al tuorlo, l'olio "a filo" (cioè facendolo scendere lentamente dal beccuccio dell'oliera), fino ad ottenere una densità cremosa.

La salsa dovrà risultare così "soda" da poter essere tagliata con un coltello.

Una variante, sempre presente nel ponente, è di incorporare il tuorlo d'ovo ma sodo, senza farlo montare come visto precedentemente.

Versione senza uovo
Uscendo dalla Valle Arroscia, al posto dell'olio viene sostituito l'aceto ed al posto dell'uovo, che scompare, la mollica di pane, trasformando così questa salsa in qualcosa di differente, ma ancora simile:

Ingredienti:
aglio
aceto
mollica di pane
vino bianco secco
sale.

Preparazione:
si mette nel mortaio l'aglio e la mollica di pane e si pesta.
Si aggiunge il sale e si diluisce con aceto e vino.
Il composto viene quindi fatto bollire per pochissimi minuti, prima di condire.

Con questa salsa si può accompagnare il bollito, oppure le verdure lesse, come i fagiolini all'agliata tipicamente genovesi, oppure il baccalà.

Esiste, tuttavia, una ricetta un po' particolare in quanto si utilizza del fegato e la poppa di vitella, che era una delle parti della vitella consumate tipicamente a Genova fino a non molti decenni fa:

Figaeto in aggiadda
Ingredienti:
Fegato di vitello
olio extravergine d'oliva
mollica di pane
un poco di poppa o milza di vitella
sale

Preparazione:
Tagliare il fegato a listarelle sottili e accomodarlo in una padella dopo aver riscaldato l'olio.
Rimestare con il cucchiaio di legno il fegato e cuocere a fuoco alto.
In precedenza pestare nel mortaio la mollica di un panino inzuppata di ottimo aceto e un poco di poppa o milza di vitello, prima sbiancata con una rapida bollitura.

Versare il preparato in una tazza e allungare con un altro poco di aceto.
Quando il fegato è quasi pronto sistemarlo da una parte della padella e nella parte rimasta libera versare il preparato.
Poi, con il cucchiaio mescolare, girando energicamente per non più d'un minuto.
Salare a piacere al momento di servire in tavola. Servire caldo.



Marò o Pestùn de fave (salsa di fave)
Zona di diffusione: Ponente ligure

Dal mare e più precisamente dai saraceni sembra derivare quest'altra salsa, a base di fave e dal colorito verde chiaro brillante.
L'etimologia della parola si presta invero a due diverse origini:
l'una mar-a dall'arabo salsa, e l'altra marò da marinaio, visto che di questa salsa sembrava farsene grande uso sulle imbarcazioni.

Anche nella ricetta di questa salsa gli ingredienti possono variare, ma la più antica è la seguente.

Ingredienti:
500 g di fave fresche
8 foglie di menta
aglio
olio extravergine di oliva
sale grosso
pepe
aceto.

Dopo aver pulito le fave, liberandole anche della seconda pellicina, si pestano (tradizionalmente) nel mortaio con le foglie di menta, l'aglio e un pizzico di sale grosso.

Pestare bene sino ad ottenere una pasta omogenea. Versare il tutto in una terrina ed aggiungere il pepe ed uno goccio d'aceto.

Diluire con l'olio ed amalgamare fino ad ottenere una consistenza semiliquida.

Esiste una versione più ricca e più moderna, che utilizza anche il pecorino grattugiato e la maggiorana nell'impasto.

Ci si può accompagnare carni alla griglia o pesce, oppure condire delle ottime trenette. Sembra che nell'uso originario si consumasse insieme a capra e pecora arrostite.



Machetto (pasta di sardine)
Zona di diffusione: Ponente ligure, oggi in tutta la Liguria

Anche questa salsa tra origine dal mare, ed anch'essa ha una corrispondenza in Francia, la pissala povenzale. L'origine è sicuramente molto antica, basti pensare al garum dei romani o al nuoc mam vietnamita derivati dalla fermentazione di piccoli pesci.

Nel ponente con questa pasta si condivano le focacce, da cui deriva nel tempo la pissalandrea o macchetusa, o ancora sardenara a seconda della zona di produzione.

La salsa anticamente veniva composta da sardine, specie le parti di scarto, come la testa, ma anche tutto il pesce, comprese le interiora, mentre al giorno d'oggi alle sardine si preferiscono le acciughe ed è stata modificata dall'introduzione del pomodoro tra gli ingredienti.

La versione originale è questa.

Ingredienti:
500 g di sardine medio piccole
olio di oliva extravergine
sale grosso.

Preparazione: le sardine vengono tritate e disposte in vasi di vetro, mescolando qualche minuto ogni giorno, sino ad ottenere una pasta omogenea. A seconda del grado di fermentazione che si vuole ottenere possono occorrere pochi giorni sino a qualche settimana.

Quando il machetto è pronto, aggiungere olio di oliva extravergine per ammorbidire il gusto ed aiutare la conservazione.

Con questa salsa si preparano gustosi crostini che vengono serviti insieme ad aperitivi e come antipasto, ci si possono condire focacce, fin'anche la pasta.



Pesto d'aglio
Zona di diffusione: Val Pentemina a Nord di Genova

Nuovamente una salsa a base d'aglio, ma con varianti: all'aglio si aggiunge l'olio e il formaggio grattugiato che un tempo derivava dalle formaggette locali, fatte stagionate, che ogni famiglia produceva per autoconsumo.

Il tutto si amalgama con la panna: una volta si utilizzava la crema di latte, quella affiorata lasciando riposare il latte all'interno di un recipiente largo (le gamelle smaltate), per una notte.

Una variante un po' più accettabile ai nostri moderni palati prevede l'aggiunta dei pinoli e un quantitativo inferiore di aglio.

È un condimento che tradizionalmente accompagnava la polenta. Si sposa però molto bene anche con le penne, le patate quarantine e con i ravioli alle erbe.

Non si sa esattamente il perché della sua origine: poiché gli ingredienti sono gli stessi del pesto, potrebbe essere nato come pesto senza basilico, visto la mancanza di quest'ultimo per buona parte dell'anno nella valle, ma è solo un'ipotesi.

Da notare che nel Tigullio, al pesto suole aggiungersi la prescinseua, oppure ricotta o, anche, un po' di panna fresca.

È probabile che anch'esso possa avere origini simili a quelle dello "aioli" provenzale e delle salse a base d'aglio della Spagna mediterranea (alioli) e della Grecia (skordhalià).

Nella pratica gastronomica anche questa salsa, come il pesto, presenta delle piccole varianti, come l'assenza di pinoli o la diversa quantità di aglio.

Difficile da reperire oggi, si trova quasi esclusivamente a Pentema, piccola frazione della Val Trebbia, per antonomasia il paese in capo al mondo, famoso per il suo museo di storia contadina e per il presepe che cerca di rilanciare le sorti di un paese in stato di semi-abbandono.

Ingredienti:
2-3 spicchi d'aglio
due manciate di pinoli
50 g di formaggio grana
due cucchiai di panna (non quella dolcificata)
30 ml d'olio
sale q.b.

Preparazione:
Pestare l'aglio, privo della pellicina, nel mortaio, insieme ai pinoli.
Unirvi il formaggio grana grattugiato ed una presa di sale.
Versarvi quindi l'olio ed amalgamare il tutto con la panna.

Prima di servire, allungare leggermente usando l'acqua di cottura della pasta. Da ricordarsi che se si dovessero aumentare gli spicchi d'aglio si ottiene una salsa dal sapore decisamente più forte; sarà bene quindi aumentare in proporzione anche gli altri ingredienti.



Sarsa de noxe (salsa di noci)
Zona di diffusione: Tutta la Liguria

Nell'antica Persia era già diffuso l'utilizzo di questa salsa che tuttora è presente nella cucina orientale e balcanica.

Fu presumibilmente all'epoca della Repubblica che i Genovesi trasportarono, via mare, se non la salsa, sicuramente la ricetta.

La "sarsa de noxe", quindi, fece un lungo viaggio prima di giungere da noi dove fu ben presto utilizzata per dar vita ad un ottimo condimento di consistenza cremosa, di colore bianco avorio dal sapore dolce in cui si riconosce chiaramente il gusto della noce.

Ideale per condire i pansòti (ravioli alle erbe, tipici liguri) dalla caratteristica forma triangolare, gli gnocchi di castagne, ed altro.
Anche questa salsa, come il pesto, presenta delle piccole variazioni nella letteratura e nella pratica gastronomica, come l'assenza di pinoli o la presenza a piacere della maggiorana.

Ingredienti:
250 g di gherigli di noci già puliti
un cucchiaio (g 25) di quagliata (prescinseua)
50 g di pinoli
tre cucchiai d'olio extravergine di oliva
la mollica di due panini
sale.

Preparazione:
pelare i gherigli di noci, dopo averli scottati in acqua bollente. Inzuppare la mollica del pane nell'acqua o nel latte e strizzarla: ciò impedisce che la noce formi olio e renda amara la salsa.

Mettere nel mortaio i gherigli di noce, la mollica, l'aglio, il sale e i pinoli e per chi volesse, la maggiorana.
Tritare bene e versare il tutto in una terrina dove il composto verrà diluito con il latte cagliato, scolato dal suo siero, e l'olio.

Mescolare gli ingredienti fino a quando non si saranno tutti ben amalgamati e la salsa avrà l'aspetto di una crema.



Sarsa de pigneu (Salsa di pinoli)
Zona di diffusione: Genova, ora in buona parte della Liguria

Oltre alla salsa di noci, un'altra salsa bianco avorio e di sapore più delicato della prima si presta per condire lasagne e pansòti: la salsa di pinoli.

Non si sa quando si è evoluta e da quando è stata introdotta nella nostra cucina, ma visti gli ingredienti, potrebbe nuovamente essere una salsa molto antica.

Ingredienti:
g 250 di pinoli
un cucchiaio (25 g) di quagliata (prescinseua)
un cucchiaio d'olio extravergine di oliva
la mollica di due panini inzuppati nel latte
sale.

Preparazione:
Pestare nel mortaio i pinoli assieme alla mollica di pane. Regolare il sale e unire gli altri ingredienti.
Mescolare il tutto aggiungendo l'olio per ammorbidire l'insieme.

E' da notare, come fino alla fine dell'800, in Liguria, sulle mense del popolo, l'olio che si utilizzava fosse olio di noci o di nocciole, in quanto l'olio d'oliva era troppo caro per un uso locale e si preferiva venderlo fuori territorio. Da questo uso, forse, si sono evolute salse come le due appena proposte.



Sugo di gherigli
Zona di diffusione: entroterra di Savona

Faccio un'eccezione per questo particolare sugo, in quanto la presenza del pomodoro è sia scarsa, sia una aggiunta più recente, visto che originariamente il sugo si preparava liscio e senza pomodori.

Fuori dall'entroterra di Savona non è conosciuta, e quindi la propongo con piacere.

Il suo gusto è delicatamente saporito ed il colore è dorato, è un sugo tipico del paese di Balestrino.
E' ottimo con le tagliatelle casalinghe, e ricorda una cucina semplice, frutto dell'utilizzo dei prodotti che la natura dei boschi circostanti offre, con l'aggiunta di soli pochi altri ingredienti, atti più ad amalgamare che a dare sapore.

Anche l'origine di questo sugo è più orientale come usanza, visti i gherigli delle noci utilizzate e le mandorle.

Ingredienti:
1 tazza di gherigli di noce, mandorle, e nocciole sgusciate
2 spicchi d'aglio
2 fette di pane raffermo
olio
conserva di pomodoro q. b. (molto, molto poca, 1 cucchiaio è
sufficiente)

Preparazione:
Far soffriggere in una casseruola, ben unta, le noci, le mandorle, le nocciole insieme agli spicchi d'aglio e al pane raffermo spezzettato.

Pestare il tutto nel mortaio, riporre quindi nuovamente nella casseruola con un cucchiaio di conserva di pomodoro, allungata con mezzo bicchiere di acqua tiepida.
Far cuocere a fiamma molto bassa sino a quando l'olio si separerà dal resto.

Condirci tagliatelle o pasta fatta in casa. Volendo rispettare filologicamente la tradizione, non aggiungere il pomodoro.



Salsa di carciofi
Zona di diffusione: ponente e Genova

Si pensa che l'origine di questa salsa sia il ponente ligure, anche se a Genova è abbastanza diffusa, ed inoltre Genova acquistava i carciofi direttamente dalla Sardegna, anticamente.

Si utilizza per condire lasagne o pasta fatta in casa.

Ingredienti:
3 carciofi
1/2 cipolla
1/2 bicchiere di vino bianco secco
1 cucchiaio di farina
1 spicchio d'aglio
prezzemolo
olio
sale

Preparazione:
Rosolare la cipolla tritata e l'aglio nell'olio, aggiungere i carciofi tagliati sottili, quindi a fiamma più alta unire il vino bianco ed un cucchiaio di farina e far svaporare.

Abbassare la fiamma e lasciar cuocere aggiustando di sale, per un quarto d'ora.
Al momento di servire tritare il prezzemolo sulla pasta con un filo d'olio crudo.

Finiamo questa carrellata con una salsa utilizzata con i primi di pesce, una preparazione che ancora si chiama "Pasta ai pesci saè".



Pasta ai pesci saè
Zona di diffusione: tutta la Liguria

La preparazione è semplicissima: si sciolgono un po' di acciughe nell'olio a fuoco dolce, senza far sfrigolare, in quantità da regolarsi a seconda dei commensali.

Quando le acciughe si trasformano in una salsa densa, simile ad una pasta, si aggiunge un trito di aglio e prezzemolo, che deve star sul fuoco pochissimo affinchè quest'ultimo non cuocia.

Si scola la pasta e si condisce con questa salsa, ottima corroborante per una giornata di lavoro.

sabato 26 settembre 2009

A qualcuno piace "hot"! Le rotte delle spezie (parte decima)

Nel XVIII secolo iniziarono a codificarsi le prime raccolte popolari di cucina, non più riservate alla sola nobiltà, quelle che più tardi verranno chiamate ricettari di cucina “tradizionale”. Occorrerà, però, aspettare l’800 ed il ‘900 perché le ricette inizino a stabilizzarsi ed assumano una connotazione a carattere veramente locale.

Nel frattempo gli alimenti che arrivavano dall’America iniziavano piano piano a prendere piede e con essi le spezie, soprattutto sudamericane. Tra esse spiccava il peperoncino, data la sua facile coltivazione anche nelle regioni sud europee, e dato il basso costo di coltivazione, ben presto andò ad affiancare il pepe, quando non a sostituirlo, nella cucina popolare.

Gia nel ‘700 la dietetica aveva cessato di guardare al passato, e le spezie calde dell’oriente avevano iniziato a perdere il loro fascino. L’unica che non doveva subire un arresto, ma, anzi, un incremento nel corso del tempo fino ad oggi, è il pepe che è ancora la spezia più commerciata a livello mondiale.

Riassumendo molto sinteticamente 5000 anni di storia delle spezie, abbiamo visto come esse entrarono nell’uso quotidiano passando prima, e per lungo tempo, attraverso l’uso derivato dalle filosofie religiose e mediche dell’antichità, facendo capolino in cucina solo in un secondo momento, per arrivare all’esplosione di sapori nel tardo medioevo e regredendo nuovamente in età moderna.

Lo studio dei due ricercatori, che ha dato origine a questo breve escursus, associa il consumo delle spezie alla loro proprietà antisettica, che indubbiamente è presente, e sostiene che esse vengano utilizzate fondamentalmente per questa ragione.

Probabilmente, però, questa sola ragione da sola non basta a motivare l’enorme diffusione che le spezie hanno avuto nel corso dei millenni, poiché anche a livello locale sono presenti spezie od erbe che assolvono egregiamente a questa funzione, ed in molti casi possiedono proprietà antisettiche di gran lunga migliori rispetto alle spezie importate.

Limitare l’analisi ai ricettari di cucina “tradizionale” di poco più di un secolo di vita, senza tenere conto dei movimenti dei popoli, dei loro usi e costumi, e dell’economia delle spezie nella storia a livello globale, vincola fortemente lo studio ad un periodo storico molto ravvicinato e non sufficientemente rappresentativo.

Un altro aspetto riguarda la distribuzione dell’uso delle spezie a seconda della latitudine di un certo piatto: molto maggiore nelle fasce tropicali e molto minore in quelle settentrionali o meridionali, associando questo parametro esclusivamente ad una maggiore deperibilità degli alimenti a causa del caldo e dell’umidità.

A questa approccio esclusivo possono essere mosse due obiezioni, entrambe valide.
Nelle fasce tropicali è presente la stragrande maggioranza delle specie vegetali del nostro pianeta, ed in proporzione, quindi, anche la maggioranza delle spezie ed erbe che vengono utilizzate nelle cucine di quelle regioni.

L’evoluzione delle comunità umane, da raccoglitori ad agricoltori, ha inglobato nella cucina gli alimenti che venivano prima raccolti e successivamente coltivati nel territorio di residenza, e naturalmente di questi alimenti fanno parte le spezie e le erbe, in misura tanto maggiore quanto maggiore è la loro presenza a livello locale.

La seconda considerazione riguarda lo sviluppo geografico delle grandi società del passato, nate tutte in regioni dove le spezie (ma soprattutti gli alimenti) erano abbondanti e che hanno avuto millenni di tempo per assimilare determinati sapori ed esportarli ai confini ed oltre dei loro imperi.

Per concludere, ritengo che alla domanda: “perché si usano le spezie in cucina”, non sia possibile dare una risposta univoca, trovata nelle ricette dell'800 e del '900, ma essa vada ricercata nella concorrenza di tutti quegli aspetti economici, religiosi, filosofici, medici, culturali che abbiamo visto nel corso di questa breve storia.

mercoledì 16 settembre 2009

A qualcuno piace "hot"! Le rotte delle spezie (parte nona)

La fine del monopolio orientale

Dal 1200 in avanti, si assiste ad un progressivo aumento delle importazioni di spezie da un lato, e ad una parallela diminuzione del loro prezzo dall’altro.

Fautori del deprezzamento delle spezie saranno due momenti storici importanti: la nascita delle Repubbliche marinare intorno al XII secolo e l’apertura della via delle Indie da parte dei Portoghesi all’inizio del ‘500.

Per secoli gli Arabi (ed i Persiani più a nord) e gli Indiani erano stati i detentori assoluti del commercio delle spezie, ma dal 1200 circa iniziano a dover dividere i loro profitti con Venezia e Genova, una per la parte orientale del Mediterraneo, l’altra per la zona Occidentale e l’area del Mar Nero.

Da questo momento in avanti, gli Arabi perderanno sempre più terreno nel monopolio dei traffici commerciali e verranno scavalcati dai mercanti ebrei e musulmani d’Occidente, ed infine dai cristiani.

Quando le Repubbliche marinare iniziarono a decadere, intorno al XVI secolo, i Portoghesi tenteranno di installare un loro monopolio su tutti i traffici via mare con l’India, essendo riusciti a stabilire delle rotte dirette circumnavigando l’Africa alla fine del ‘400.

Con vari sistemi di roccaforti portoghesi, impiantate su tutto il tragitto, dalle coste dell’Africa fino al Giappone, cercheranno di mantenere prezzi elevati, ma saranno ancora in concorrenza con i levantini, che cederanno completamente davanti alle flotte commerciali inglesi ed olandesi il secolo dopo.

A Londra il prezzo del pepe si dimezza nel momento stesso in cui l’Inghilterra prende possesso definitivo delle rotte commerciali verso l’India, ed il centro europeo di importazione delle spezie passa da Venezia ad Amsterdam.

Nel momento stesso in cui le spezie diventeranno economiche e facilmente accessibili a tutti, e ne potrebbe, quindi, essere notevolmente incrementato l’uso, si assiste in Europa ad un fenomeno completamente inverso: spariscono quasi completamente dai trattati di cucina della ricca borghesia e della nobiltà.

La Francia, subito dopo il rinascimento, si impone come guida di eleganza e raffinatezza in tutte le corti europee ed inizia immediatamente a dettare il suo stile anche in cucina. Stile che verrà copiato, quale sinonimo di buon gusto a tavola, dalle altre nazioni.

Se si vanno a leggere i trattati di cucina francesi editi tra il 1550 ed il 1650 ci si rende conto che il gusto dei francesi a tavola cambia profondamente in questo secolo. Delle spezie orientali che infarcivano i piatti medioevali prima e rinascimentali dopo, vengono più o meno abolite zafferano, zenzero, galanga, pepe lungo, pepe di Guinea (i famosi “grani di paradiso” medioevali), il macis, il lentisco ed altre ancora. La cannella cessa di essere utilizzata nei piatti salati e da quel momento in avanti verrà riservata solo alle preparazioni dolci.

Delle antiche spezie verranno mantenute, e comunque in misura minore, solo il pepe, il chiodo di garofano e la noce moscata.

I viaggiatori francesi si lamentavano già prima del 1650, nei loro racconti, “dei piatti neri di spezie e di zafferano” che incontravano dalla Spagna alla Polonia.

Alle spezie orientali, nei trattati di cucina, vengono sostituite aromi locali: erbe aromatiche, ma non menta ed issopo, agliacei come cipolla, scalogno e cipolletta di Spagna, tutti i tipi di funghi di cui è anche iniziata la tecnica della coltura, e condimenti provenzali come i capperi, le acciughe, i limoni e le arance amare importate dalla Liguria (le famose melangole).

Dal gusto acido e speziato del medioevo, l’aceto si usava un po’ dappertutto prima, si passa al gusto che predilige condimenti con salse grasse ed il burro diventa il grasso della cucina raffinata. Dal sapore mascherato da eccessivi condimenti si passa all’esaltazione del sapore proprio delle singole pietanze.

Un esempio chiarificatore, è quanto scrive nel 1654 Nicholas de Bonnefois, a proposito della preparazione e cottura dei cibi: “Cercate più che potete di far diversificare e distinguere tramite il gusto e la forma ciò che fate preparare: che un Potage de Santè sia una buona minestra borghese, ben nutrita di buone carni scelte, e ristretta in poco brodo, senza carne trita, funghi, spezie, né altri ingredienti, ma che sia semplice, poiché porta il nome della salute; che quella ai cavoli abbia tutto il profumo del cavolo, quella ai porri del porro, alle rape della rapa e così le altre, e vedrete che i vostri Signori staranno meglio, saranno sempre di buon appetito, e che voi ne riceverete gli elogi. Quanto ho detto sulle Minestre, intendo che valga per tutto, e che sia la norma per tutto ciò che si mangia”.

In un altro trattato, all’inizio del capitolo relativo al manzo, nella Cuisinière bourgeoise, Menon scriveva: “Non entrerò nei dettagli di quella che chiamiamo la carne di scarto. Questa carne è in uso solo presso il popolino, che si ingegna in preparazioni ricche di sale, pepe, aceto, aglio e scalogno per coprirne il gusto insipido”.

Quello che era raffinato nei secoli precedenti, i condimenti speziati e acidi, diventano volgari e viceversa, viene abbandonato il gusto “forte” e ricercato al suo posto quello “fine e delicato”.

Dagli storici vengono fatte varie ipotesi per spiegare questo radicale mutamento del gusto, ed il quasi totale abbandono delle spezie orientali.
Una prima identifica nel calo del costo delle spezie il contemporaneo calo di prestigio delle stesse e, la nobiltà, per ostentare la propria raffinatezza, si rivolge ad altri sostituti in luogo dei sapori orientali diventati banali.
Un’altra ipotesi attribuisce il calo di interesse nelle spezie al declino della medicina ippocratica e della sua dietetica, che a partire dal XVII secolo entra in un lungo periodo di decadenza.

Ma forse la spiegazione non è determinata da un solo fattore, considerando che nel frattempo si stava assistendo ad un cambio di mentalità globale in relazione al sapere, alla visione del mondo, ed alla percezione che le società europee avevano di loro stesse.

L’Illuminismo accellera il naufragio dell’antica medicina, delle antiche credenze sulla produzione umorale del corpo e dei benefici derivanti dall’uso di spezie “calde” o “secche” considerate efficaci secondo la dietetica greco-araba.

L’Europa medioevale situava il centro del mondo in Medio Oriente, dominato dall’Islam e considerato la terra di Dio, barriera geografica e politica invalicabile verso l’Asia e l’Africa interna. L’oceano Indiano era il mondo dell’ignoto e del meraviglioso, dei miti e dei pericoli, e l’Europa medioevale assorbiva i fiabeschi racconti orientali pregni di leggende e di mostri fantastici.

Ma dalla fine del XV secolo il mondo, per l’Europa, si allarga e cadono i confini e le barriere in concomitanza con le prime conquiste delle rotte commerciali. Inoltre, con la conquista dell’America, il centro economico si sposta dal Mediterraneo all’Atlantico, ed il prestigio dei prodotti orientali inizia a subire un netto declino.

L’organizzazione Indiana ed Araba, che ha funzionato quasi ininterrottamente per circa 4000 anni nell’Oceano Indiano, e che ha commerciato spezie, ma anche cultura, sapere, filosofia, cessa all’improvviso soppiantata da un modello di business tutto europeo, che da quel momento in avanti detterà la movimentazione globale delle spezie e decreterà o meno il successo di questa o quella spezia in cucina

- CONTINUA -

martedì 15 settembre 2009

A qualcuno piace "hot"! Le rotte delle spezie (parte ottava)

L'Europa medioevale e le spezie

In Europa si stava assistendo a due grandi fenomeni: la disgregazione dell’Impero Romano e la diffusione del Cristianesimo.

Assetto europeo dopo il 476


Tra il II ed il IV secolo, le invasioni barbariche riuscirono a demolire completamente prima i confini e poi la struttura stessa dell’Impero Romano, suddividendo l’Occidente in una miriade di stati indipendenti e soggetti ad organizzazioni nel commercio e nell’economia politica diverse tra loro.

Il sapere si rifugia nei monasteri, che diventano i centri ed i custodi gelosi e spesso occultatori, delle antiche arti filosofiche, mediche e scientifiche.

Per secoli la pratica medica regredisce in Europa, ed i manoscritti alto medioevali offrono solo un insieme di regole pratiche per formulare una diagnosi tramite l’osservazione del polso e delle urine, descrizioni sommarie di malattie dal nome greco sempre più storpiato, liste di erbe medicinali e ricette che attingono a fonti diverse.

Le pratiche dietetiche, ereditate dai greci e dai romani, erano modellate sul principio dei quattro umori prodotti dal corpo ed alla trasformazione delle proprietà degli alimenti mediante la loro manipolazione in cucina.

Gli scritti sopravvissuti venivano storpiati ed adattati ad una visione più “cristiana” del mondo, e molte antiche conoscenze venivano perse oppure occultate dai centri di potere nei monasteri.

San Basilio, fondatore nel 370 di un grande ospedale a Cesarea, scriveva che: “non tutte le infermità sono di origine naturale, perché alcune sono inviate direttamente da Dio per provare la nostra fede o per castigare qualche peccato da noi commesso”.

All’uomo del popolo medioevale, della dietetica medica in senso culturale importa poco, ricorda solo quello che gli è utile a supportare la sua esperienza nei problemi di salute più immediati e che rimanda a rimedi basati sulle antiche credenze nelle proprietà del calore e del fuoco.


Stretto da una parte dalla fede cristiana, e dall’altra da un Oriente che esercitava ancora un fascino misterioso molto potente, al sapere perduto sostituisce le credenze popolari: il solo contatto con le pietre preziose che arrivavano dall’Oriente era considerato capace di proteggere il corpo dalla vecchiaia, le spezie non scacciano solamente i fluidi malsani, ma li bruciano, ed attraversano l’immaginario medioevale ben al di là della cucina e della gradevolezza, staccandosene quasi completamente e diventando di fatto rimedio medico e panacea universale.

Ma per quanto riguarda la cucina e l’uso delle spezie che era così esteso durante l’Impero Romano?

La cucina medioevale in Europa

Dalla raccolta di ricette di Apicio del II secolo d.C. fino ai primi scritti di cucina medioevali del XIV secolo dovranno passare secoli, quindi si hanno solo indicazioni di massima sull’alimentazione popolare.

La stratificazioni delle classi sociali impattava tutti gli aspetti della vita quotidiana, compresi quelli alimentari. Ai nobili ed al clero venivano riservati cibi più raffinati di quelli destinati al popolo.

Dai registri di approvvigionamento dell’Abbazia di Corbie per l’anno 716, in testa agli acquisti si trovano pepe e cumino, seguiti da chiodi di garofano, nardo indiano e costus. Duecento anni dopo, in un altro registro della stessa abbazia compaiono anche la galanga, lo zenzero e la cannella.

Gli scambi commerciali con l’India non si erano interrotti, ma erano diventati enormemente più costosi per il fatto che le rotte commerciali non attraversavano più vasti imperi unificati, ma spesso e sovente transitavano in terre non soggette a stretto controllo e quindi insicure. Per l’uomo del popolo la spezia orientale diventa un qualcosa di irraggiungibile e che dovrà sostituire con altri sapori, più a buon mercato, raccolti nei campi.

Nei libri contabili del XIV secolo di alcuni mercanti di Montauban, paese francese ai piedi dei Pirenei, ritroviamo la stratificazione sociale legata agli acquisti.

Contadini, artigiani e braccianti non acquistano spezie, e se questo si verifica, molto di rado, l’unica spezia acquistata è il pepe. Salendo nella scala gerarchica, i mercanti oppure i borghesi si approvvigionavano costantemente di questa spezia, mentre clero e nobiltà acquistavano anche zenzero, noce moscata e cannella.

Mezzo chilo di pepe nel 1300 costava l’equivalente di un montone, mentre mezzo chilo di noce moscata più di una mucca.

Il popolo per trovare il calore, considerato indispensabile per una buona digestione, si rivolgeva ai campi e faceva un uso abbondante di aglio e cipolla.
Al posto delle spezie orientali, troppo care, J. Dubois nel 1544 nel suo trattato dietetico per un regime alimentare sano, destinato alla popolazione, consigliava una polvere fatta di rosmarino, salvia, issopo, santoreggia, timo, maggiorana, alloro e teste di cardo, con la quale si aromatizzavano minestre di verdure e brodetti.

Secoli dopo decantiamo e ricerchiamo il misto di “erbette provenzali” da aggiungere ad arrosti e zuppe casalinghe.

Le spezie in cucina erano diventate stretto appannaggio dei potenti e dei mercanti, così come altri prodotti oggi ritenuti di largo consumo, come zucchero oppure olio di oliva che, per esempio, in Liguria si inizierà a consumare stabilmente dalla popolazione solo durante l’800.

I trattati di cucina del XIV secolo sono scritti da cuochi al servizio di re o di nobili di alto rango, e rappresentano una cucina di corte più o meno uniforme in tutta Europa e che fa un uso abbondante di spezie.

Le più utilizzate sono zenzero, cannella, zafferano e chiodi di garofano. Il pepe nero è scarsamente menzionato, probabilmente perché la sua diffusione negli strati sociali più bassi ne diminuisce il prestigio. Compaiono anche, in misura minore e destinate alle mense più raffinate, cardamomo, macis, noce moscata e pepe lungo.

Un confronto tra una raccolta di cucina della fine del XIV secolo “Le Mesnagier de Paris” ed una sua corrispondente orientale, evidenzia che in Europa, a corte e dalla ricca borghesia, venivano utilizzate altrettante spezie che in Medio Oriente, differenziandosi solo per l’uso del coriandolo e del cumino, completamente abbandonati in Europa Occidentale da qualche secolo.

I ricchi piatti speziati mettevano in competizione le varie mense reali, e la spezia era diventata l’espressione più evidente di un determinato stato sociale, ricercata in quanto espressione del benessere economico dell’anfitrione.

Ma in soli duecento anni, come vedremo, tutto il sistema è destinato a crollare e le spezie orientali, da protagoniste indiscusse, spariranno quasi completamente dalle ricette europee.

La Francia, promotrice della cultura culinaria d’elite in Europa e nel mondo, detterà le nuove regole nell’uso delle spezie, ed il centro del mondo si sposterà nuovamente, abbandonando per sempre il Medio Oriente.

- CONTINUA -

lunedì 14 settembre 2009

A qualcuno piace "hot"! Le rotte delle spezie (parte settima)

Gli alti e bassi nel monopolio delle spezie alla caduta dell'Impero Romano

I Romani, come abbiamo visto, riuscirono a spezzare il monopolio indiano-arabo ed a mettersi in comunicazione diretta con l’India per l’importazione delle spezie.

Nei due secoli successivi, aumentarono enormemente il traffico (e le conseguenti esportazioni) di merci e materie prime nei due sensi. Da Myos Hormos (l’attuale Quseir a Sud del Golfo di Suez) ogni anno partivano 120 navi con destinazione i porti occidentali dell’India. Si partiva verso luglio dall’Egitto, sfruttando poi i monsoni di ottobre verso est, per utilzzare quelli contrari a dicembre e ritornare in Egitto verso primavera. In meno di un anno le navi partivano con le merci del Mediterraneo e tornavano cariche delle spezie orientali, per ripartire il luglio successivo.

Gli scambi diretti tra Impero Romano ed India arrivarono fino alle coste orientali dell’India: nei pressi di Arikameddu, vicino a Pondicherry, è stata scoperta una colonia romana, un vero e proprio insediamento, con suppellettili provenienti dall’Italia.

Roma arrivò fino alla Cina, anche se non in maniera sistematica, ma ambascerie verranno scambiate tra i due Imperi.

Le spezie indiane viaggiavano insieme alle merci cinesi, sia via mare che via terra. Di contro, in India venivano importate stoffe, manufatti ed il molto apprezzato vino italiano e corallo napoletano, che raggiungeva le loro coste.

Da Roma le spezie venivano poi diffuse in tutto l’Impero, verso la Spagna, le coste del Nord Africa e nell’Europa settentrionale. Il prezzo del pepe a Roma, nel 77 d.c. era di 45 denari per quello “lungo”, 18 denari per il pepe bianco e solo 9 denari per il pepe nero.

A tal proposito, Plinio il Vecchio aveva da dire: «non vi è anno in cui l'India non dreni 50 milioni di sesterzi all'Impero romano» e altri moralismi sul pepe: «È sorprendente che l'uso del pepe sia diventato così di moda, vedendo che nelle altre sostanze che usiamo è la dolcezza o la loro apparenza che ha attratto la nostra attenzione; il pepe non ha nulla in se che possa implorare una raccomandazione come altri frutti, avendo come unica qualità una certa piccantezza; ed è per questo che ora lo importiamo dall'India! Chi fu il primo che fece di esso un genere alimentare? E chi, per mia meraviglia, non fu contento di preparare per se stesso un pasto che servisse soltanto a saziare un robusto appetito?».

Sotto Traiano, l’Impero Romano raggiunge la sua massima estensione, arrivando ad est fino a lambire il Mar Caspio ed il Golfo Persico, controllando sia la rotta delle spezie nel Mare Indiano, che le varie vie della seta tra la Cina e l’Occidente. La richiesta di beni di lusso e di spezie si alza più che mai, ed enormi quantitativi di spezie orientali arriveranno nel Mediterraneo e da lì verranno commerciate verso il nord e l’Europa Occidentale.

Ma nel 226 d.C. in Persia subentra la ben organizzata monarchia sassanide, e da questo momento il commercio via terra con l’Asia diventa monopolio incontrastato dei mercanti persiani. Contemporaneamente, Roma perde anche il vantaggio nell’Oceano Indiano, dal momento che ai suoi commercianti subentrano quelli Indiani ed Arabi.

Il traffico privilegiato di Roma con l’oriente, torna in mano agli intermediari, aumentando nuovamente i costi di trasporto e di mediazione vera e propria delle spezie.

Al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, il ruolo di intermediario per l’importazione delle spezie passa a Bisanzio, ma la domanda di beni dall’oriente non è più comparabile rispetto a quanto era avvenuto pochi secoli prima. Bisanzio, tuttavia, avrà pochissime possibilità di un contatto diretto con l’Oriente, confinante com’era con i Sassanidi in Persia, ed anche il tentativo di Giustiniano, di ripristinare i traffici nel Mar Rosso non incontrerà fortuna.

Tra il 622 ed il 632 d.C. una nuova forza politica, militare e religiosa inizierà ad espandersi nel vicino oriente: i musulmani. Nell’arco di pochi decenni misero in crisi l’attività commerciale di Bisanzio e presero in mano l’organizzazione del commercio dettandone anche i prezzi. Il traffico diretto con le Indie viene completamente interrotto e mediato interamente dagli Arabi che molto presto si metteranno in affari con la Spagna e con la Cina.


Tra il VII e l’VIII secolo, il mondo islamico si estenderà dall’Atlantico all’India ed il centro commerciale tornerà ad essere il Golfo Persico, dove arrivano ormai anche le giunche cinesi.

La corte di Baghdad ed il Califfato di Cordoba supereranno in magnificenza e fasti tutte le città d’Occidente. L’uso delle spezie ed i trattati di dietetica arabi si moltiplicheranno, grazie anche alla tecnica della carta che gli Arabi hanno appreso a Samarcanda, nel corso delle loro conquiste.

Il gusto della cucina aromatica abasside rimarrà invariato per secoli nel vicino oriente, così come molte tecniche di trasformazione e conservazione dei cibi, che verranno passate nel Mediterraneo nei secoli successivi.

In una raccolta di 72 ricette, edita a Baghdad nel periodo di massimo splendore della sua corte, a base di carni, pollame, verdure, cereali e leguminose, si incontrano le seguenti piante aromatiche e spezie:
coriandolo secco (nel 96% delle ricette), cannella (96%), aceto (64%), mastice (64%), cumino (61%), pepe (56%), cipolla (54%), erbe fresche (coriandolo, menta, aneto 46%), acqua di rosa (46%), zenzero (36%), zafferano (35%), zucchero o succhi dolci (25%). Una cucina dolce, vellutata, aromatica e speziata.

Il consumo quotidiano di spezie a Baghdad tra il 700 ed il 1000 d.C. non era riservato ai più ricchi, come avverrà nel medioevo in Europa. I magazzini traboccavano di prodotti destinati alla vendita in Occidente, la popolazione viveva un rinnovamento della dietetica grazie alle rinate arti mediche, in decadenza dall’epoca classica, ed era contemporaneamente sottomessa alle influenze della medicina ayurvedica attraverso alcune grandi colonie indiane in Iran.

Nonostante il consumo di spezie fosse così cospicuo, gli Arabi cercarono di collocarle costantemente tra i prodotti di lusso, per poterne generare alti profitti, rispetto a costi di acquisto molto inferiori nella vicina India.

Ma quale era in Europa, il rapporto con le spezie orientali nel corso del medioevo?

- CONTINUA -

domenica 13 settembre 2009

A qualcuno piace "hot"! Le rotte delle spezie (parte sesta)

Continuiamo con il viaggio del Periplus Maris Erythraei ed arriviamo, questa volta, fino all'India, in un percorso di 2000 anni fa.

Il Periplus Maris Erythraei - Parte seconda (Dall'Egitto all'India)



19. Sulla riva sinistra rispetto a Berenice (Lato Arabia), navigando per due o tre giorni dal Porto di Mussel (Myos Hormos) in direzione est attraversando il golfo adiacente, si incontra un altro porto fortificato, che è chiamato “Villaggio Bianco”, dal quale parte la strada per Petra, che è sotto il dominio di Malichas, Re dei Nabatei.
Questo porto è una città-mercato per i piccoli velieri che arrivano dall’Arabia; ed un centurione (ufficiale romano) è di stanza qui per riscuotere il 25% delle mercanzie importate, supportato da una forza armata, ed un forte.



20. Direttamente sotto questo posto c’è l’adiacente paese dell’Arabia, che bordeggia con il suo lato sinistro una lunga parte del Mare Eritreo (lato destro del Mar Rosso). Nel paese vivono diverse tribù, che parlano lingue differenti, alcuni parzialmente, altri totalmente. La terra oltre il mare è punteggiata di caverne dove vivono i “mangiatori di pesce”, ma nell’entroterra si trovano comunità di briganti che parlano due lingue, vivono in villaggi ed in campi nomadi, dai quali fanno partire attacchi per depredare le navi che navigano in questi luoghi, e quelli che sopravvivono agli arrembaggi sono catturati come schiavi.
Ed anche loro (i predoni) sono continuamente presi prigionieri dai capi e dai re d’Arabia; e vengono chiamati Carnaites.
La navigazione è pericolosa lungo l’intero tratto di costa arabico, perché non esistono porti, gli ancoraggi sono difficili, pericolosi, a causa delle mareggiate e delle rocce, e terribili ad ogni modo. Quindi teniamo la navigazione nel mezzo del golfo (lontano dalle coste) ed attraversiamo il più velocemente possibile il paese dell’Arabia fino a che raggiungiamo l’Isola di Burnt; direttamente sotto la quale si trovano regioni di popoli pacifici, nomadi, pastori di bovini, pecore e cammelli.

21. Sotto questi posti, in una baia ai piedi del lato sinistro di questo golfo, si trova una città-mercato sulla spiaggia, chiamata Muza, stabilita per legge, distante da Berenice, per quelli che navigano verso sud, complessivamente circa 12.000 stadi.
E l’intero porto è affollato di comandanti di nave arabi e marinai, ed è brulicante di attività ed affari commerciali; viene mantenuto attivo il commercio tra la “costa lontana” (la costa Somala verso il corno d’Africa) e con Barygaza, mandando le loro navi laggiù.

22. A tre giorni di cammino nell’entroterra, rispetto a Muza, c’è una città chiamata Saua, nel mezzo della regione chiamata Mapharitis; e c’è un capo vassallo chiamato Cholaebus che vive in questa città.

23. E dopo altri nove giorni (di cammino) si incontra Saphar, la metropoli, nella quale vive Charibael, Re di due tribù, gli Homerites e quelli che vivono dopo di loro, chiamati Sabaites; grazie a continue ambasciate e doni, è un amico degli Imperatori (romani).

24. La città-mercato di Muza non ha un porto, ma ha una buona rada e punti di ancoraggio, a causa del fondo sabbioso, dove le ancore fanno presa in sicurezza. Le mercanzie importate consistono in tessuti color porpora, sia di fine fattura che grossolana; vestiti in stile arabo, con maniche; lisci, ordinari, ornati, o intessuti con fili d’oro; zafferano, dolci, mussole, mantelli, coperte non molte, alcune normali ed altre fabbricate alla moda locale; fasce di differenti colori, fragranti pomate in moderata quantità, vino e frumento, non molto. Per il paese si producono cereali per un ammontare moderato, ed una grande quantità di vino. Ed al Re ed ai capi sono donati cavalli, vasi d’oro e di fine argento, raffinati vestiti e vasi di rame. Da questa regione vengono esportati: mirra selezionata, e la mirra “Gebanite-Minaean”, alabastro e tutte le merci già menzionate ad Avalites e dei porti della “costa lontana”. Il viaggio a questo porto è meglio farlo in settembre; ma nulla vieta di partire prima.

25. Dopo aver navigato da questo porto per circa 300 stadi, la costa araba ed il paese dei berberi, dal golfo di Avalites iniziano ad avvicinarsi, si incontra un canale, non lungo in estensione, che forza il passaggio del mare e lo chiude in una stretta striscia, diviso dall’isola Diodorus per sessanta stadi in larghezza.
Perciò la navigazione è insidiata da forti correnti e da forti venti che soffiano dalle creste delle montagne vicine. Direttamente nello stretto, sulla costa, c’è un villaggio degli Arabi, soggetto allo stesso capo, chiamato Ocelis; non è tanto una città-mercato quanto un ancoraggio ed un posto di sosta per quelli che navigano nel golfo.

26. Oltre Ocelis, il mare si allarga nuovamente verso est, e presto si potrà vedere l’oceano aperto, dopo circa 1200 stadi si trova Eudaemon Arabia, un villaggio sulla costa, anch’esso nel regno di Charibael, e che presenta buoni ancoraggi, e buone rade, migliori di quelli di Ocelis; il villaggio sorge all’entrata della baia, dove la terra inizia a retrocedere.
E’ chiamato Eudaemon (“prosperoso”) perché agli inizi della sua fondazione quando il viaggio non era ancora diretto dall’India all’Egitto, e quando ancora non sfidavano la navigazione dall’Egitto ai porti attraverso questo oceano, ma tutti venivano in questo posto, che riceveva le navi e le merci di entrambi i paesi, così come ora Alessandria (d’Egitto) riceve le mercanzie sia da che per l’Egitto. Ma non molto tempo prima di ora Charibael ha distrutto questo posto.

27. Dopo Eudaemon Arabia la costa continua senza interruzione, e si incontra una gande baia che si estende per 2000 stadi o più, lungo la quale i Nomadi e “mangiatori di pesce” vivono in villaggi. Subito dopo il capo che si proietta da questa baia, si trova un’altra città-mercato sulla costa, Cana nel regno di Eleazus, il paese Frankincense; Ed in fronte alla città ci sono due isole deserte, una chiamata Isola degli Uccelli, l’altra Isola Cupola, a 120 stadi da Cana.
Nell’entroterra di questo porto sorge la metropoli Sabbatha, dove vive il Re. Tutto l’incenso “frankincense” prodotto nel paese è trasportato da carovane di cammelli in questo posto per essere immagazzinato, ed anche verso Cana su zattere sostenute da pelli gonfiate, come si usa in questo posto, e su barche.
Cana commercia anche con i porti della “costa lontana”, con Barygaza e Scythia e Ommana e con la vicina costa della Persia.

28. Dall’Egitto vengono importati un po’ di frumento e vino, come a Muza; vestiti in stile arabo, senza adorni e comuni, e molti falsi (era già abbondantemente in uso il falso sulle merci di import-export che veniva punito con pene piuttosto severe); e rame e stagno e corallo e storax (la resina di essudazione del liquidambar, simile agli aceri) ed altre merci similmente a quelle di Muza; e per il Re, di solito, oro lavorato e piatti d’argento, anche cavalli, immagini (statue maschili), e vestiti di stoffa sottile e di buona qualità; Le merci di esportazione, prodotte dai nativi, sono incenso “frankincense” e aloe, e tutte le altre merci che vengono commerciate anche dagli altri porti. Il viaggio per Cana deve essere iniziato nello stesso mese di quello per Muza, o meglio anche prima.

29. Dopo Cana, la terra recede grandemente, seguendo una baia molto profonda dove si trova un grande punto di scambio, chiamato Sachalites; ed il paese Frankincense, montagnoso e vietato, avvolto da spesse nubi e nebbia, ha grandi boschi di incenso “frankincense”; gli alberi non sono di grande altezza o spessore; raccolgono l’incenso in gocce dalla corteccia, così come gli i nostri alberi in Egitto trasudano gomma. L’incenso è raccolto dagli schiavi del Re e da quelli che vengono mandati a questo lavoro per punizione. Questi posti sono molto insalubri e pestilenziali, anche per quelli che navigano lungo la costa, ma quasi fatali per quelli che ci lavorano, che muoiono spesso anche per la richiesta di cibo.

30. In questa baia c’è un enorme promontorio che guarda ad est, chiamato Syagrus; dove si trova un forte, per la difesa di questo paese, ed un porto ed un magazzino per l’incenso che viene raccolto; di fronte a questo capo, molto fuori in mare, si trova un’isola, tra esso e il Capo delle Spezie, ma più vicino a Syagrus: viene chiamata Dioscorida, ed è molto grande ma deserta e paludosa, dove si trovano torrenti e coccodrilli e molti serpenti e grandi lucertole, di cui si mangia la carne e si scioglie il grasso per usarlo al posto dell’olio di oliva. Sull’isola non ci sono alberi da frutta, o vino o grano. Gli abitanti sono pochi e vivono sulle coste che guardano a nord, verso il continente. Sono stranieri, un misto di Arabi e Indiani e Greci, che sono emigrati per commerciare laggiù.
L’isola produce le vere tartarughe marine, e tartarughe di terra, e le tartarughe bianche che sono molto numerose e preferite per le loro grandi corazze; e le tartarughe di montagna, che sono le più grandi di tutte e con il guscio spesso; queste non possono essere tagliate a pezzi perché sono troppo dure; ma quelle di valore sono tagliate e dai loro gusci si ricavano cofanetti, e piccoli piatti e piatti per dolci e questo tipo di articoli. Viene anche prodotto, nell’isola, il cinnabar (resina aromatica), quello che viene chiamato indiano, e che è raccolto in gocce dagli alberi.

31. Così come Azania è sottomessa a Charibael ed ai capi di Mapharitis, questa isola è sotto al dominio del Re del Paese Frankincense. Le mercanzie vengono portate lì da Muza e da quelli che vogliono provare a scommettere un viaggio da Damirica (costa del Malabar nel sud dell’India) e da Barygaza; portano riso e frumento e vestiti indiani, ed un po’ di schiave donne; e prendono in cambio una grande quantità di gusci di tartaruga. Ora l’isola è coltivata in nome del Re ed è presente una guarnigione.

32. Immediatamente dopo Syagrus, la baia di Omana taglia profondamente la linea costiera, per seicento stadi; e dopo Omana si incontrano le montagne, alte, rocciose e ripide, dove vive gente nelle caverne, per più di 500 stadi; e dopo questo si trova un porto, fondato per ricevere l’incenso “frankicense” da Sachalitic; il porto è chiamato Moscha, e navi da Cana arrivano lì regolarmente; ed altre navi tornano da Damirica e da Barygaza, se la stagione è in ritardo, inverno laggiù, e commerciano con gli ufficiali reali, scambiando le loro stoffe e frumento e olio di sesamo per incenso “frankincense”, che giace in mucchi in tutta la regione Sachalitic, non sorvegliato, come se il posto fosse sotto la protezione degli dei. L’incenso non può essere caricato sulle navi da nessuno, né apertamente né di contrabbando, senza i lpermesso del Re; se un singolo granelo venisse caricato senza il permesso, la nave non potrebbe abbandonare il porto.

33. Dopo il porto di Moscha per 1500 stadi, fino alla distanza di Asich, una montagna corre lungo la costa; alla fine della quale, in una linea, si trovano sette isole chiamate Zenobian. Dopo di queste inizia una regione barbara che non appartiene più allo stesso Re, ma che ora appartiene alla Persia.
Navigando lungo la costa, ben in alto mare, per 2000 stadi dalle Isole Zenobian, incontrerete un’isola chiamata Sarapis, a circa 120 stadi da terra. Essa è larga circa 200 stadi e lunga 600, abitata da tre villaggi di “mangiatori di pesce” che parlano arabo ed indossano busti di foglie di palma. L’isola produce quantità considerevoli di gusci di tartaruga di fine qualità, e piccole barche e navi vengono mandate qui da Cana.


34. Navigando lungo la costa, che si dirige a nord, attraverso l’entrata del Mare Persiano, si incontrano molte isole conosciute come Calaei, dopo circa 2000 stadi, che si estendono lungo la costa. Gli abitanti sono molto perfidi, molto poco civilizzati.

35. Alla fine delle isole Calaei, c’è un gruppo di montagne chiamate Calon, ed ad esse segue, non molto distante, l’imboccatorua del Golfo Persico, dove si effettuano molte immersioni per le perle delle ostriche. Alla sinistra dello stretto ci sono grandi montagne chiamate Asabon, ed alla destra, in piena vista, un’altra alta e rotonda montagna chiamata Semiramis; tra di loro, il passaggio nello stretto, è largo circa 600 stadi;
oltre al quale, questo ampio e grande mare prosegue lungamente verso l’interno. Alla estremità di questo Golfo si trova una città-mercato costituita per legge, chiamata Apologus, situata vicino a Charax Spasini sul Fiume Eufrate.

36. Navigando attraverso l’imboccatura del Golfo, dopo sei giorni si incontra un’altra città-mercato in Persia, chiamata Ommana. In entrambe queste città arrivano regolamente grandi vascelli da Barygaza, caricati con rame, legno di sandalo, tavole di tek, e tronchi di legno nero e di ebano. Anche l’incenso “frankincense” è regolarmente spedito ad Ommana da Cana, e da Ommana alle navi arabe, cucite insieme, come si usa nel posto; sono conosciute come madarata. Da ciascuna di queste città-mercato, vengono esportati sia a Barygaza che in Arabia, molte perle, ma inferiori a quelle dell’India; porpora, vestiti alla moda nel posto, vino, una grande quantità di datteri, oro e schiavi.

37. Dopo la regione Ommanitica si incontra un’altra regione persiana, di un altro regno, e la baia di Gedrosia, dalla metà della quale spunta un promontorio. Qui si trova un fiume che permette l’entrata alle navi, con una piccola città-mercato all’imboccatura, chiamata Oraea, e nell’interno una città, distante sette giorni di cammino dal mare, nella quale risiede la corte del Re;
è chiamata… (il nome della città non figura nel manoscritto ma probabilmente si riferiva a Rhambacia); Questa regione produce molto frumento, vino, riso e datteri; ma lungo la costa non si trova niente eccetto il bdellium (resina aromatica simile alla mirra).

38. Oltre a questa regione, il continente fa una vasta curva da est attraverso le profondità delle baie, che seguono lungo la costa della Scythia, che si trova a nord; è completamente paludosa; da questa costa sbocca il fiume Sinthus, il maggiore di tutti i fiumi che sgorgano nel Mare Eritreo, trasportando un enorme volume d’acqua; perciò per un lungo tratto in mare aperto, prima di raggiungere questa regione, l’acqua dell’oceano è più dolce;
Come segno di avvicinamento a questa regione, per quelli che la raggiungono dal mare, vi sono serpenti che risalgono dalle profondità per incontrarvi; ed un segno dei posti appena menzionati, ed in Persia, sono quelle chiamate arpie.
Questo fiume ha sette foci, poco profondi ed acquitrinosi, perciò non sono navigabili, eccetto per quello nel mezzo; nel quale, sulla costa, si incontra la citta-mercato di Barbaricum. Prima di questa, c’è una piccola isola, e nell’entroterra dietro essa, una metropoli Schita, Minnagara; è soggetta ai principi Parti che sono costantemente in guerra tra di loro.

39. Le navi stazionano all’ancora a Barbaricum, ma tutti i loro carichi vengono portati alla metropoli tramite il fiume, fino al Re. Si importa una grande quantità di vestiti leggeri, ed alcuni falsi; lini ricamati, topazi, coralli, storax, incenso “frankincense”, vasi di vetro, piatti d’argento e d’oro, ed un po’ di vino. Di contro vengono esportati ginger, bdellium, salice, nardo, turchesi, lapislazzuli, stoffe di seta, tessuti di cotone, fili di seta, ed indaco. Ed i marinai partono con i venti indiani “Etesian”, nel mese di luglio. E’ più pericoloso, ma con questi venti il viaggio è più diretto, e completato velocemente.

40. Oltre il fiume Sinthus si trova un altro golfo, non navigabile, che corre verso nord; viene chiamato Eirinon; le sue parti sono chiamate separatamente il piccolo ed il grande golfo; in entrambe le parti l’acqua è poco profonda, e banchi mobili di sabbia si incontrano continuamente, anche a grande distanza da riva; cosicchè molto spesso la costa non è nemmeno in vista, le navi rischiano di arenarsi, e se tentano di mantenere la rotta (vicino alla costa) possono naufragare.
Un promontorio si protende da questo golfo, esegue una curva da Eirinon verso est, poi sud, poi ovest, e finisce racchiudendo il golfo chiamato Baraca, che contiene sette isole. Quelli che arrivano all’entrata di questa baia ne fuggono stazionando un poco e dirigendo velocemente verso il mare aperto; ma quelli che dirigono dentro il golfo di Baraca sono da considerare persi; a causa di onde alte e violente, e del mare tumultuoso e orrendo, con vortici e gorghi. Il fondo in alcuni posti si inabissa velocemente, ed in altri è roccioso e tagliente, così che le cime delle ancore vengono tagliate; altre si incagliano sul fondo. Come segno di identificazione per quelli che approcciano questi luoghi, si incontrano serpenti, molto lunghi e neri; negli altri posti di questa costa ed intorno a Barygaza, sono più piccoli, e di colore verde brillante, che vira all’oro.

41. Dopo il golfo di Baraca c’è quello di Barygaza e la costa del paese di Ariaca, che è l’inizio del regno di Nambanus e di tutta l’India. La parte nell’entroterra ed adiacente a Scythia è chiamata Abiria, ma le coste sono chiamate Syrastrene. E’ un paese fertile, con frumento e riso e olio di sesamo e burro chiarificato, cotone da cui vengono tessuti i vestiti indiani. Pascola molto bestiame, e gli uomini sono di grande statura e neri di pelle. La metropoli di questo paese è Minnagara, dalla quale molti tessuti in cotone vengono mandati a Barygaza. In questi posti, fino ai giorni nostri, rimangono segni della spedizione di Alessandro (Spedizione di Alessandro Magno nel 330 a.C.), come antichi santuari, muri di forti e grandi pozzi. La navigazione procede lungo questa costa, da Barbaricum al promontorio chiamato Papica, opposto a Barygaza, e prima di Astacampra, per 3000 stadi.

42. Dopo questi luoghi si trova un altro golfo esposto alle onde del mare, che corre verso nord, alla bocca del quale c’è un’isola chiamata Bavones; nel punto più interno si trova un grande fiume chiamato Mais. Quelli che navigano verso Barygaza attraversano questo golfo, che è largo 300 stadi, lasciandosi a sinistra l’isola che si vede dalla cima degli alberi (della nave) in direzione est, facendo rotta alla foce del fiume di Barygaza; e questo fiume è chiamato Nammadus.

43. Questo golfo è molto vicino a Barygaza e molto difficile da navigare per quelli che arrivano dall’oceano; si può passare a dritta o a sinistra, ma il passaggio migliore è quello a sinistra. Nel passaggio a dritta, all’imbocatura del golfo si trova un banco, lungo e ristretto, e pieno di rocce, chiamato Herone, che guarda verso il villaggio di Cammoni; e di fronte, verso sinistra, si proietta il promontorio che si trova prima di Astacampra, che è chiamato Papica, con cattivi ancoraggi a causa della forte corrente e perché le ancore vengono tagliate via, poiché il fondo diventa roccioso. Ed anche se l’ingresso al golfo viene effettuato in sicurezza (dalla parte destra), l’imboccatura del fiume di Barygaza è molto difficile, perché la sponda è molto bassa e non può essere guadagnata fino a che non vi ci ritrovate praticamente sopra. Ed anche quando l’avrete trovata, il passaggio è difficile a causa della sponda alla foce del fiume.

44. A causa di tutto ciò, I pescatori nativi, al servizio del Re, stazionano all’ingresso (del golfo) in grandi barche ben costruite, chiamate trappaga e cotymba, e per tutta la costa fino a Syrastrene, da dove guidano le navi fino a Barygaza. E le guidano attraverso l’entrata della baia tra le sponde con i loro equipaggi; e le rimorchiano fino a postazioni fisse (vere e proprie chiuse anvali), che si innalzano all’inizio delle esondazioni, e che durante il riflusso portano le navi verso ancoraggi e verso bacini. Questi bacini sono posti più profondi nel fiume e si trovano fino a Barygaza, che è situata sul fiume, circa 300 stadi più su dell’imboccatura.


45. L’intero paese indiano ha molti fiumi, e presenta molti riflussi ed inondazioni per le maree; che aumentano con la luna nuova, e con la luna piena per tre giorni, e che diminuiscono nei periodi intermedi della luna. Ma a Barygaza il fenomeno è molto più grande, fino a vedere improvvisamente il fondo del fiume, e poi, parti di terraferma diventano mare, e poi seccano improvvisamente dove le navi stavano navigando pochi momenti prima; ed i fiumi, durante le mareggiate provocate dalla marea, quando l’intera forza del mare è diretta contro di loro, vengono spinti fortemente controcorrente, per molti stadi.

46. Per questa ragione, l’arrivo e la partenza delle navi è molto pericolosa per quelli che non hanno esperienza o per chi arriva a questa città-mercato per la prima volta. Per la forza dell’acqua, all’inizio della marea, che le ancore non possono trattenere le navi; così che grandi navi vengono sospinte dalla forza della marea, ruotano sui fianchi per la forza della corrente, e vengono spinte contro le sponde e distrutte; e navi più piccole vengono rivoltate; E quelli che sono stati spostati dalla corrente, al recedere dell’acqua rimangono incagliati, e se non sono ben ritti sulla chiglia, la successiva onda di marea li travolgerà completamente riempiendoli di acqua. La forza di marea è così grande con la luna nuova, specialmente di notte, che se iniziate l’ingresso nel momento in cui le acque sono basse, in un istante cresceranno all’imboccatura del fiume, con un rumore come di lamenti di un esercito udito da distante; e molto presto il mare stesso arriverà con forza sopra le sponde con un rauco ruggito.

47. L’entroterra di Barygaza è abitato da numerose tribù, come gli Aratii, gli Arachosii, I Gandaraei e la gente di Poclais, dove si trova Bucephalus Alexandria. Sopra di questi si trova la belligerante nazione dei Bactriani, guidati dal loro re. E Alessandro (Magno), accampatosi da queste parti, penetrò il Gange, lasciandosi dietro Damirica e la parte sud dell’India; ed oggi le antiche dracme sono moneta legale in Barygaza, arrivano da questa regione, e portano iscrizioni in lettere greche, ed i segni di quelli che regnarono dopo Alessandro, Apollodotus e Menander.

48. Nell’entroterra di questo posto, e verso est, c’è la città chiamat Ozene, formalmente una capitale reale; da questo posto vengono trasportate tuttle le cose necessarie per il benessere del paese di Barygaza, e molte cose anche per il nostro commercio: agati e cornalina, mussole indiane e calde stoffe, e molte stoffe ordinarie. Attraverso questa regione e dalla regione superiore, è portato il nardo che arriva attraverso Poclais; arriva anche il costus ed il bdellium.

49. Vengono importati vino, preferibilmente italiano, ma anche laodicense ed arabo; rame, stagno e piombo; coralli e topazi; stoffe sottili e cose di tutti i tipi; cinture dai colori brillanti larghe un cubito; storax, dolce trifoglio, coppe di vetro, realgar, antimonio, monete d’oro e d’argento, sulle quali si crea profitto scambiandole con le monete correnti qui; olii ma non molto costosi e non molto. E per il Re vengono portati in questi posti vasi molto costosi d’argento, ragazzi che cantano, belle fanciulle per l’harem, vini di qualità, stoffe sottili della migliore tessitura, e balsami scelti.
Da qui vengono esportati nardo, costus, bdellium, avorio, agate, cornalina, lycium, stoffe di cotone di tutti i tipi, stoffe in seta, pepe lungo e tutte le altre cose che vengono portate qui dalle varie città-mercato. Le merci per questa città-mercato che arrivano dall’Egitto fanno il viaggio preferibilmente nel mese di luglio.

50. Dopo Barygaza la costa adiacende si estende in una linea dritta da nord a sud; e questa regione è chiamata Dachinabades, perchè dachanos, nel linguaggio dei nativi, significa sud. L’entroterra dalla costa fino alla costa est comprende molte regioni desertiche e grandi montagne; e tutti i tipi di bestie selvagge leopardi, tigri, elefanti, enormi serpenti, iene, e babbuini di ogni tipo; E molte nazioni popolose fino a raggiungere il Gange;

51. prima di arrivare a Dachinabades si incontrano due posti di importanza speciale; Pathana, distante circa venti giorni a sud di Barygaza; oltre alla quale, circa 10 giorni verso est, c’è un’altra grande città, Tagara. A Barygaza vengono trasportate merci con carri merci ed attraverso grandi tratti senza strade, da Pathana cornelia in grande quantità, e da Tagara molte stoffe comuni, tutti i tipi di mussola e stoffe calde, ed altre merci vengono trasportate dalle regioni costiere verso queste città. E l’intero tratto fino alla fine di Damirica è di 7000 stadi; ma la distanza è maggiore per la regione della costa.

52. Le città mercato di questa regione sono, in ordine: Suppara, e la città di Calliena, che al tempo del capo Saraganus è diventata una rispettosa città mercato; ma da quando è caduta in possesso dei Sandares il porto è molto ostruito, e le navi greche che arrivano laggiù possono essere riportate a Barygaza sotto scorta.

53. Dopo Calliena si trovano altre città-mercato; Semylla, Mandagora, Palaepatmoe, Melizigara, Byzantium, Togarum e Aurannohoas. Poi ci sono le isole chiamate Sesecriena e quelle chiamate Aegidii, e le Caenitae, in fronte al posto chiamato Chersonesus, dove si trovano pirati, e dopo queste si incontra l’Isola Bianca. Poi vengono Naura e Tyndis, il primo mercato di Damirica, e poi Muziris e Nelcynda, che adesso hanno grande importanza commerciale.

54. Tyndis è nel regno di Cerobothra; è un villaggio in pianura in vista del mare. Muziris, dello stesso regno, abbonda di navi spedite qui dall’Arabia, e dai Greci; è situata su di un fiume, distante da Tyndis in totale 500 stadi, e su per il fiume per circa 20 stadi. Nelycinda è distante da Muziris circa 500 stadi ed appartiene ad un altro regno, i Pandian. Anche questo posto è situato su di un fiume, circa 120 stadi dal mare.

55. Si trova un altro villaggio all’imboccatura di questo fiume, Bacare; nel quale le navi sostano nel lungo viaggio da Nelycinda, ed ancorano in rada per caricare le mercanzie; perché il fiume è pieno di banchi di sabbia, ed i canali non sono liberi. Il re di entrambe queste città-mercato vive all’interno. Ed un segno dell’avvicinarsi di questi posti dal mare sono i serpenti che dalle profondità vi vengono incontro, di colore nero, ma corti, e con occhi rosso sangue.

56. Vengono mandate grandi navi in queste città-mercato tenendo conto della grande quantità di pepe e malabathrum (che si può caricare). Qui vengono importati, per prima cosa, una grande quantità di monete; topazi, fini stoffe, non molte; lino ricamato, antimonio, corallo, vetro grezzi, rame, stagno, piombo; vino, non molto, ma almeno altrettanto di Barygaza; realgar e orpiment (un minerale che si forma insieme al realgar); e frumento per i marinari, per quelli che non hanno contratti con i mercanti.
Viene esportato pepe, che è prodotto in quantità solo in una regione vicino a questi mercati, un distretto chiamato Cottonara. Oltre a questo vengono esportate grandi quantità di perle, avorio, tessuti in seta, nardo del Gange, malabathrum (foglie della cannella) dalle regioni dell’interno, pietre trasparenti di tutti i tipi, diamanti e zaffiri, e gusci di tartarughe; sia dall’Isola Chryse che dalle altre isole lungo la costa di Damirica. Fanno il viaggio verso questo posto nella stagione favorevole quelli che partono dall’Egitto nel mese di luglio.

57. L’intero viaggio come sopra descritto, da Cana e Eudaemon Arabia, viene fatto in piccoli velieri, navigando sottocosta; e Hippalo fu il pilota che osservò la collocazione dei porti e le condizioni del mare, per primo scopritore (rispetto agli occidentali) di come questa rotta attraversa l’oceano. Quando soffiano i venti Etesian, il vento soffia sulle coste dell’India dall’oceano, e questo vento di sudovest è chiamato Hippalus, dal name di colui che per primo ha scoperto il passaggio. Da allora fino ai giorni nostri le navi partono, alcune dirette a Cana, ed alcune dal Capo delle Spezie; e quelle dirette a Damirica tengono la prua della nave considerevolmente fuori dal vento; mentre quelle che vanno a Barygaza e Scythia si tengono lungo le coste non più che di tre giorni e per il resto del tempo mantengono la stessa rotta in mare aperto, con vento a favore, abbastanza distanti da riva, e così navigando superano il golfo.

58. Dopo Bacare si trova la montagna Rosso Scuro, ed un altro distretto si allunga sulla costa verso sud, ed è chiamato Paralia. Il primo posto che si incontra è chiamato Balita; ha un piccolo porto ed un villaggio sulla costa. Dopo questo c’è un altro posto chiamato Comari dove c’è il Capo Comari ed un porto; qui vengono quegli uomini che si vogliono consacrare a se stessi per il resto della loro vita, e bagnarsi e dimorare nel celibato; e le donne fanno lo stesso; per questo si dice che una dea dimorò e si bagnò qui.

59. Da Comari procedendo verso il sud questa regione si estende fino a Colchi; dove ci sono i pescatori di perle che sono lavoratori criminali condannati; e appartiene al regno di Pandian. Dopo Colchi segue un altro distretto chiamato “Regione della Costa”, in una baia, e nell’entroterra una regione chiamata Argaru. In questo posto, e da nessun altra parte, sono trasportate le perle raccolte sulle coste vicine; e da qui vengono esportate mussole, quelle chiamate Argaritic.

60. Tra le città-mercato di questi paesi, ed i porti dove le navi arrivano da Damirica, le più importanti sono, in ordine da sud verso nord, prima Camara, poi Poduca, poi Sopatma; nella quale si trovano navi delle regioni della costa fino a Damirica; ed altre grandi navi fatte in singoli tronchi uniti tra di loro chiamate sangara: ma quelle che fanno il viaggio a Chryse e verso il Gange sono chiamate colandia, e sono molto grandi. In questi posti si importa tutto quello che viene fabbricato a Damirica, e la maggior parte delle mercanzie che arrivano dall’Egitto, insieme a molte delle cose che sono trasportate da Damirica e a quelle trasportate attraverso Paralia.

61. A proposito delle seguenti regioni, la rotta si dirige ad est, e fuori, in alto mare verso ovest, si trova l’isola Palaesimundu, chiamata Taboprane dagli antichi. La parte a nord è ad un giorno di distanza, e la parte a sud tende gradualmente verso ovest, e quasi tocca l’opposta costa di Azania. Produce perle, pietre trasparenti, mussole, e gusci di tartaruga.

62. Oltre questi posti c’è la regione di Masalia, che si allunga per una grande parte lungo le coste; qui viene prodotta una grande quantità di mussole. Oltre a questa regione, navigando verso est, ed attraversando la baia adiacente, si incontra la regione di Dosarene, dove si trova l’avorio chiamato Dosarenic. Oltre a questa regione, la rotta tende a nord, dove ci sono molte tribù barbare, tra cui i Cirrhadae, una razza di uomini con il naso piatto, molto selvaggi; un’altra tribù, i Bargysi; e la tribù delle “facce di cavallo” e delle “facce lunghe”, di cui si dice siano cannibali.

63. Dopo queste, la rotta gira ad est nuovamente, e navigando con l’oceano a dritta e la costa a sinistra, si inizia ad intravvedere il Gange, e vicino ad esso l’ultima regione ad est, Chryse. C’è un fioume vicino ad essa chiamato Gange, e subisce delle piene come il Nilo. Sulle sue rive c’è una città-mercato che ha lo stesso nome del fiume, Gange. Attraverso questo posto viene trasportato il malabathrum ed il nardo del Gange e perle, e mussole di fine razza, che sono chiamate Gangetic. Si dice che si trovino delle miniere d’oro vicino a questo posto, e si trova una moneta d’oro chiamata caltis. E giusto di fronte al fiume c’è un’isola nell’oceano, l’ultima zona abitata verso est, sotto lo stesso sorgere del sole; si chiama Chryse; ed ha i migliori gusci di tartaruga di qualsiasi posto nel Mare Eritreo.

64. Dopo questa regione posta molto a nord, il mare termina in una terra chiamata This, ed all’interno c’è una grande città chiamata Thinae (La Cina), dalla quale arriva seta grezza e fili di seta e stoffe di seta trasportate a piedi attraverso la Bactria fino a Barygaza, ed anche esportate verso Damirica tramite il fiume Gange. Ma la terra di This non è di facile accesso; pochi uomini arrivano da essa, e raramente. La regione si trova sotto l’orsa minore, e si dice che confini con la parte più remota del Pontus e del Mare Caspio, vicino al quale si trova il lago Maeotis; e tutti questi laghi e mari si scaricano nell’oceano.

65. Ogni anno ai confini della terra di This arriva una tribù di uomini con corpi piccoli e dalle facce piatte, e di natura pacifica; si chiamano Besata, e sono interamente civilizzati. Arrivano con le mogli ed i figli, trasportando grandi involucri e cesti di quelle che sembrano foglie di uva verde. Si fermano in una zona tra la loro terra e This e fanno una grande festa, spargendo il contenuto delle ceste sotto di loro come dei materassini, e poi ritornano nella loro terra, nell’interno. E poi i nativi li guardano arrivare e raccolgono i loro materassini; e tirano via dalle trecce le fibre che chiamano petri. Distendono le foglie strettamente unite in vari strati e ne fanno delle palle, che perforano con le fibre dei materassini; E ricavano tre cose; quelle fatte dalle foglie più grandi sono chiamate “grandi palle malabathrum”; quelle dalle piccole, “le palle medie”; e quelle dalle più piccole in assoluto, “le piccole palle”. Quindi esistono tre tipi di malabathrum, e sono trasportati in India da quelli che li preparano.

66. Le regioni oltre questi luoghi sono difficili da accedere a causa dei loro inverni ecessivi e per il grande freddo, e non possono essere viste anche a causa di qualche influenza divina degli dei.

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