martedì 25 agosto 2009

Il pesto. Quando alla tradizione si vuole mettere una camicia ingessata

BANDIERA VERDE DELLA CUCINA LIGURE


Mio nonno ha 80 anni. Quando lui era piccolo, in Liguria, si mangiava il pesto.
Suo nonno è morto ad 80 anni. Quando suo nonno era piccolo, in Liguria, si mangiava la salsa all'aglio.

Ed il pesto non esisteva.

La salsa verde, che ha reso famosa la Liguria in tutto il mondo è, in realtà, un condimento che ha subito notevoli variazioni e trasformazioni nel tempo, fino ad arrivare alla ricetta "temporaneamente definitiva" di oggi.

C'è chi, in tempi recenti, ha richiesto la DOP, cercando di "fissare" un disciplinare per la preparazione del pesto, e degli ingredienti necessari.

In realtà, ci si potrebbe chiedere se abbia un senso porre dei limiti alla naturale evoluzione del gusto, e se, invece, tutto questo non abbia alle spalle precisi obiettivi di tutela commerciale, in un mondo sempre più piccolo, dove i prodotti locali diventano internazionali e sfuggono totalmente al controllo del produttore di origine.

Prima del pesto, l'aglio
Se vogliamo risalire alle origini del pesto attuale, non abbiamo bisogno di scavare nei secoli della storia: è nato e si è affermato in un periodo che va dalla fine dell'800 agli inizi del '900.

Ma se vogliamo scoprire come siamo arrivati al pesto dobbiamo andare molto più in là. Sia nel tempo che nello spazio.

In una collezione di documenti cuneiformi appartenente all'Università di Yale (USA) figurano tre tavolette che all'inizio erano state scambiate per prescrizioni farmaceutiche e che, dopo un attento esame, si sono ben presto rivelate delle raccolte di ricette gastronomiche.

Scritte in lingua accadica e datate all'incirca 1700 a.c., sono il primo documento storico di ricette di cucina e l'aglio fa la sua prima comparsa come ingrediente culinario.

Questo bulbo, si pensa originario dell'Asia centrale e dell'India, è stato portato verso occidente attraverso gli scambi commerciali ed i movimenti di popoli, per approdare molto presto nel bacino del Mediterraneo.

Da quando esiste la scrittura, esso è segnalato in Grecia, in Egitto, in Palestina, fino ad arrivare a Roma e da qui estendersi a tutto il mondo allora conosciuto.

Da sempre consumato per le sue virtù, ha accompagnato l'umanità nel suo percorso gastronomico fino ai giorni odierni.

Nella storia è consumato da solo, oppure inserito come ingrediente in molti piatti, fino a crearne condimenti veri e propri. Le prime salse all'aglio di cui si ha notizia, erano realizzate con vari elementi liquidi, come agresto (succo di uva acerbo), aceto, succo d'arancia o da vino, erano cioè salse non unte, amalgamate senza l'utilizzo di condimenti grassi, né di origine animale (burro), tantomeno vegetale (olio di oliva).

L'agliata (agiadda o aié in dialetto ligure), una salsa medioevale diffusa in tutta Italia, a base di aglio pestato, potrebbe essere considerata tra le prime salse unte, a base di olio di oliva, della gastronomia.
Di essa esistono diverse versioni, legate soprattutto alla zona di produzione. Così troviamo l'agliata con olio di olivo nell'entroterra ponentino ligure, mentre sulla costa veniva prediletto l'aceto.
In Val Pentemina, sopra Genova, al confine con le province di Alessandria e Piacenza, la versione prevede la crema di latte (panna) raccolta per affioramento.

Tutte le ricette di salse a base d'aglio che ci sono state tramandate dalla tradizione, prevedevano varianti negli ingredienti, sia per la loro reperibilità (noci, pinoli, latte, olio) sia per l'evoluzione dell'arte cuciniera.

Il battuto d'aglio pentemino, in particolare, riporta tutti gli ingredienti dell'attuale pesto con la sostituzione della panna di latte al basilico.

Dopo l'aglio, il basilico
Come sia entrato il basilico all'interno del battuto d'aglio, non ci è dato sapere per certo, però abbiamo la ricetta originale di una salsa che accompagnava minestre di verdure e che era, forse, l'evoluzione di una salsa precedente di aglio e basilico, cui è stato aggiunto il formaggio.

Nel "La cuciniera genovese", titolo di una raccolta di ricette genovesi del 1863, l'autore indica la quota casearia del pesto in un mix di parmigiano e formaggio d’Olanda (allora assai diffuso a Genova, per via di scambi commerciali storicamente privilegiati con i Paesi Bassi, vedi precedente post), successivamente sostituito con il pecorino sardo (fresco o stagionato, a seconda dei gusti) in città, e con la «prescinseua» nell’area del Levante e del Tigullio (variante ancora attuale). Inoltre venivano citate, in sostituzione del basilico, altre erbe, come prezzemolo o maggiorana.

Il pesto attuale ancora non era definito.

Successivamente, a distanza di alcuni anni, copiandone la ricetta ed aggiungendone molte altre (forse troppe), Emanuele Rossi diede alle stampe il suo volume "La vera cuciniera genovese facile ed economica ossia Maniera di preparare e cuocere ogni genere di vivande".

Nel 1910, Emerico Romano Calvetti, facendo una stringata sintesi delle due cuciniere, dà una sua versione, citando la ricetta n° 39, la battuta o savore d'aglio, con la eliminazione definitiva del formaggio olandese.

Ancora nel 1918 un ufficiale genovese dell'esercito, Giuseppe Chioni, scrisse un libro di ricette intitolato Arte culinaria, che tra gli ingredienti del pesto indicava: basilico, aglio, prezzemolo, cipolla, droghe, formaggio sardo.
Nessuna traccia ancora dei pinoli. La conclusione ovvia che si può trarre è che l'uso dei pinoli (o delle noci come riportanto alcune ricette) nella preparazione del pesto sia una pratica decisamente recente.

Per questa ragione "agganciare" la ricetta del pesto ad una DOP, limiterebbe la tendenza tradizionale a successive mutazioni ed evoluzioni di questa salsa che tanto si è trasformata nel corso del tempo. Anche se, forse, salverebbe temporaneamente le tasche di qualche produttore locale di "pesto in barattolo DOP".

Più sensatamente, e direi con lungimiranza, si è attribuito il DOP alla produzione del suo ingrediente principale: il basilico.

La "tipicità" del basilico ligure
A rendere unico il pesto genovese, è proprio il basilico, o meglio tre delle sue 69 varietà.

Nel corso degli anni in Liguria si sono affermate alcune varietà di basilico adatte per la produzione di basilico tipico genevose, e caratterizzate dall´assoluta assenza di sentore di menta, da un profumo molto intenso e gradevole, nonché da una colorazione delle foglie particolarmente tenue.

Le caratteristiche citate, peraltro facilmente riscontrabili anche nelle successive trasformazioni della materia prima, sono determinate dalle particolari condizioni pedoclimatiche del territorio ligure.

Dario Bressanini, in un suo articolo nell'edizione on-line di Scientific American versione italiana, analizza approfonditamente alcuni studi che sono stati portati avanti sul basilico. In estrema sintesi, da questi risulta che la metodologia adottata nella coltivazione e nella scelta delle piantine di basilico come avviene in Liguria, ha una base scientifica, ancorchè raggiunta empiricamente e per tentativi dai nostri agricoltori.

La dimensione delle piantine , quindi l'età, l'esposizione al sole, i metodi di lavorazione del basilico per ridurlo a pesto, sono tutti elementi importanti che si riflettono nella riuscita organolettica di un pesto ligure, o meglio genovese.

Le stesse piantine, coltivate altrove, subiscono una alterazione nello sviluppo degli olii aromatici ed alterano, in definitiva, la riuscita di un pesto che abbia gli stessi aromi di quello che si può consumare in riviera.

Del resto, mio nonno già sapeva che se avesse mandato una piantina di basilico genovese a suo cognato di Cuneo, sarebbe cresciuta con un forte sentore di menta, e quindi preferiva rimandarlo a casa con dei barattolini di pesto coperto da un velo d'olio.

Ma allora, quale è la ricetta definitiva del pesto?

La ricetta "definitiva" del pesto
La risposta non è semplice perchè non è unica.

La base da cui si potrebbe provare a partire è quella della ricetta del consorzio genovese del pesto, quel consorzio che come abbiamo visto in apertura sta cercando di ottenere la DOP. E' sicuramente una ottima base di partenza e che permette la riuscita di un ottimo pesto, carico delle sfumature aromatiche tipiche di come lo si consuma oggi a Genova e dintorni.

Un profano, ovvero un non-ligure, seguendo la ricetta indicata sopra riuscirà ad ottenere un ottimo pesto, ma per un ligure la cosa è differente:
in ogni singola casa si realizza il pesto come si è abituati, con le percentuali di ingredienti che non vengono mai misurate sul bilancino, ma aggiunte ad occhio, o meglio a palmi, manciate e pizzichi, dalla massaia che lo sta preparando e che lo ha preparato e visto preparare innumerevoli volte sin da piccola.

Del resto il senso del gusto si origina allo svezzamento e cresce ed evolve nell'arco della nostra intera esistenza, ma su questo torneremo in un altro post.

Abbiamo visto come il cebiche, piatto eletto rappresentante del Peru, si sia evoluto in oltre 2000 anni di storia, così il pesto, figlio di tradizioni culinarie precedenti, ed a seconda dell'area di produzione, potrebbe vedere l'aggiunta o la sostituzione di determinati ingredienti: pinoli con noci, prescinseua al posto del grana o del pecorino, e così via.

Rimangono immutabili solo l'aglio, l'olio ed il basilico, questi sì elementi fondamentali per raggiungere la sublime aromaticità del pesto ligure.

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