venerdì 21 agosto 2009

Cucina tipica - Cucina tradizionale - Chiacchiere libere di Antropologia a tavola


Cosè un piatto "tipico"? Ed invece cos'è un piatto "tradizionale"?

Tipico, in sè, vuol dire poco o nulla, nella lingua italiana tipico è un aggettivo che significa "che si può assumere come tipo, come modello".

Per estensione, in culinaria, il piatto tipico dovrebbe essere un preparato che, rispettando determinati criteri di produzione e di materia prima, entrambi codificati, possa assurgere a modello per tutti i piatti preparati nello stesso identico modo.

Di fatto è aria fritta in quanto sono pochissimi i piatti "tipici" che hanno un disciplinare alle spalle o dei controlli che possano garantirne la "tipicità".

Allo stesso modo risulta difficile parlare di cucina "tipica regionale" quando avrebbe più senso citare la cucina "tipica di un certo territorio" (a volte coincidente con il singolo comune) che è la base dalla quale si è evoluta, in seguito, l'intera cucina italiana, mentre le "regioni" così come le conosciamo oggi, sono un'acquisizione recente della nostra storia.

Spesso e volentieri, determinati piatti si confezionano proprio in aree sovraregionali e sfuggono, di fatto, ad una denominazione "tipica". Altre volte, possiamo avere varianti locali di piatti "regionali" ma non per questo meno "tipici".

Ma quando per "tipico" si intende un piatto preparato con ingredienti "locali", siamo proprio sicuri che gli ingredienti siano veramente autoctoni?

L'Italia, da sempre, è stata un crocevia di popoli, culture, contaminazioni. Quello che usiamo oggi nella nostra cucina, raramente è un ingrediente "italiano", se con questo si intende un prodotto "naturale del territorio italiano".

Dagli Arabi ci sono arrivati gli agrumi, gli spinaci, la melanzana, la pasta secca e lo zucchero, dalle Americhe le patate, peruviane o boliviane, il peperoncino, il mais, il cacao, il pomodoro, gran parte dei fagioli e delle varietà di zucche, messicani; dall'Asia il riso e le spezie, e dal vicino oriente, le piante che poi diventeranno la base fondamentale dell'alimentazione europea mediterranea: grano, vite ed ulivo.

La "tipicità" della cucina italiana, quella conosciuta oggi all'estero e basata su pane, pasta, pizza e pomodoro è in realtà un'acquisizione "esterna" e per certi versi moderna e non antica.

E che dire della "tradizione"?

Un prodotto enogastronomico si può definire tradizionale quando per un sufficiente numero di anni lo si è preparato con criteri omogenei, ed è accettato dalla popolazione locale come un piatto che fa parte della propria storia e cultura.

Sempre restando in Italia, la maggioranza dei piatti "tradizionali" locali, sono un'elaborazione recente di ingredienti esteri, spesso con origini che non vanno oltre l'800 e spessissimo che iniziano ai primi del '900.

Inoltre per "tradizione" non possiamo limitarci alla "tipicità" del piatto, ma dobbiamo includere tutto il consesso socio-cuturale che essa rappresenta, quando ci accostiamo ad un piatto.
Molto spesso i piatti "tradizionali" che consumiamo oggi, derivano da solo una piccola porzione dell'alimentazione "tradizionale" del passato.

Provate a mangiarvi oggi un piatto di fave bollite con sugna di maiale e pane di castagne, mescolato con farina.

Le ricette "tradizionali" portate ai giorni nostri, spesso e volentieri attingono solo ad una minima parte dei ricettari di una volta, la parte "ricca", destinata alla popolazione agiata e non alla stragrande maggioranza del popolo, oppure saccheggiando le ricette delle feste condensate in pochi giorni del calendario.

Così i ravioli alla genovese prodotti e consumati solo a natale, vengono oggi reperiti tutto l'anno, o i piatti, una volta solo primaverili a base di ricotta, si possono consumare tutti i giorni.

Quindi la tradizione in realtà, non è fissa ed immutabile, ma è un continuo divenire nel tempo, in mutazione continua. Non si può stabilire a priori una data per etichettare un piatto od un salume od un formaggio, ma è la sua integrazione con gli usi e le abitudini alimentari e sociali della gente a farlo divenire "tradizionale".

In un certo senso, si può dire che la "tradizione" è un continuo fiorire e mutarsi e non sta "scomparendo", ma si sta "evolvendo".

Se prendiamo ad esempio i periodi in cui certi piatti italiani sono diventati "tradizionali" ci rendiamo conto che non dobbiamo andare molto in là nel tempo.

La prima ricetta che abbina il pomodoro alla pasta è del 1839, la codifica del pesto è della fine dell'800, mentre della carbonara romana non si hanno tracce prima del secondo conflitto mondiale.
Il riso Arborio, base di moltissime ricette regionali, ha iniziato la sua coltura in Italia all'inizio degli anni '50, ben dopo la seconda guerra mondiale. E non per questo non vengono considerati piatti
"tradizionali italiani".

Ma quindi, per un piatto, per definirsi "tradizionale", è sufficiente far passare una, due, o tre generazioni?

La mia risposta è sì, nella misura in cui un determinato piatto è entrato nella "cultura culinaria" di un determinato popolo. Pronto per essere soppiantato dal prossimo.

Mutazione ed evoluzione.

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