giovedì 3 settembre 2009

A qualcuno piace "hot"! Le rotte delle spezie (parte quarta)

Nell'ultimo post, l’occhio lungo di Roma era proteso verso la ricca fonte di commercio che arrivava dall’Egitto.

Prima di arrivare ai Romani, occorre però segnalare un tentativo greco di rompere il monopolio arabo sul traffico delle spezie nell’Oceano Indiano.

Intorno al 118 a.C. un naufrago di una nave commerciale indiana era stato trovato e catturato nel Mar Rosso, da lì portato ad Alessandria alla corte di Tolomeo VIII, re dell’Egitto.

Le cronache dicono che si offrì “spontaneamente” per guidare i navigatori greci sulle rotte monsoniche verso l’India. Più probabilmente fu “invogliato” ad offrirsi dal momento che ai greci interessava moltissimo poter aprire una rotta diretta senza l’intermediazione dei popoli arabi.

Eudoxus era un navigatore dell’isola di Cizico, colonia greca sulle sponde del Mar di Marmara. Tolomeo lo designò per il viaggio insieme alla guida indiana.

Vennero effettuato due viaggi da Eudoxus, uno nel 118 a.C. e l’altro nel 116 a.C. In entrambi raggiunse l’India e tornò indietro con le navi cariche di spezie e merci preziose. Poi sparì nel corso di un terzo viaggio dove tentava di circumnavigare l’Africa, e di lui non si hanno più tracce.

Nel frattempo, l’antica rotta che dall’India portava le prime spezie all’Africa Orientale, si era trasformata velocemente in un commercio a due vie, con merci che venivano importate verso l’Europa e merci che procedevano in senso inverso, fino all’India ed oltre.

Ma un altro grande impero era interessato all’Oceano Indiano ed alle sue spezie.

Roma e le spezie

A Roma l’uso delle spezie era divenuto importantissimo tra il I secolo a.C. ed il I d.C.
Forti dell’eredità culturale greca, avevano ormai introdotto le spezie nelle loro preparazioni culinarie.

I registri doganali romani fanno registrare 84 tipi differenti di prodotti importati. Ma il pepe, il cumino e l’asa fetida (laser) sono le voci principali di importazione.

Nei piatti romani le spezie erano ampiamente utilizzate; in una raccolta di ricette che vanno dal I al IV secolo d.C. ed attribuita ad Apicio, si possono notare i quantitativi di spezie utilizzate nei piatti:

Medie per ricetta su n. 71 ricette

2 piante aromatiche fresche locali
(levitisco 58%, aneto 30%, coriandolo 25%, ruta 24%, menta 23%, e poi prezzemolo, porro…)

1 aroma secco locale
(semi di sedano 21%, timo 20%, origano 20%, e poi carvi, mirto, semi di mostarda, coriandolo, finocchio, alloro…)

Pepe (97%)

Garum (90%)

Miele o succo dolce (86%)

Aceto (46%)

Vino (42%)

Cumino (35%)

Frutta secca (31% soprattutto datteri)

Asa fetida (27%)

Cipolla (23%)

Praticamente niente aglio ed una bassa percentuale di cipolla.
Venivano importati anche lo zenzero, il nardo indiano, lo zafferano, e la cannella cassia.

Il pepe, uno dei prodotti considerati di lusso, alla metà del I secolo d.C. diventa improvvisamente un prodotto popolare, diffuso sulle tavole dell’impero fino alla Gallia.

Cosa aveva fatto crollare il prezzo del pepe?

L’impero romano e la questione araba
Una partita in due mosse: prima la guerra poi l’astuzia


Sotto Augusto, dal 31 a.C. in poi, la “questione araba” diventò per Roma di primaria importanza.
Augusto, occupato l’Egitto nel 31 a.C, non lo assoggettò a provincia romana, ma lo conservò autonomo, legato al proprio nome, dichiarandolo regnum additum imperio Romanorum, e lo affidò a un prefetto di sua nomina personale, vero viceré, tenuto quindi ad eseguire i suoi ordini diretti.

Già due anni dopo, nel 29 a.C. il primo prefetto C. Cornelio Gallo attaccò il territorio degli Etiopi (oggi Sudan). Nel 27 a.C. moriva suicida, sostituito prontamente da C. Elio Gallo.

La prima mossa: la guerra

Questo nuovo prefetto continuò immediatamente la politica aggressiva del predecessore: ideò una smisurata campagna militare sia per terra che per mare, allestendo un grande esercito di terra e una immensa flotta di 80 biremi, triremi e navi lunghe servendosi di 130 navi da trasporto per imbarcare 10.000 uomini, parte legionari, parte auxiliares.

Il suo obiettivo era impadronirsi della lunga costa di fronte alla sponda egiziana del Mar Rosso per metterla a disposizione del commercio romano, senza nemmeno immaginare né la lunghezza di quella costa né l’aridità del territorio interno.

Puntò e sbarcò a Leukè Kome (odierna Al Khuraybah in Arabia Saudita) all’ingresso del Golfo di Aqaba, dove si aggiunsero i contingenti alleati, 500 Giudei guidati da Erode I e 1000 Arabi Nabatei guidati da Silleo.

La spedizione fu un disastro, a causa delle difficoltà logistiche di un così grande numero di armati e dell’immensità dei deserti arabi. Ritornò ad Alessandria con soli pochi resti delle numerose truppe allestite.

Però la spedizione, anche se disastrosa dal punto di vista militare, fu utile da quello geografico e politico: Elio Gallo stilò appunti e osservazioni nella relazione ufficiale su uomini e luoghi, che si rivelarono particolarmente utili nei futuri rapporti tra Romani e Arabi

Plinio, dirà a proposito della penisola araba: “La stessa Penisola d’Arabia scorrendo fra i due mari Rosso e Persico, per un certo artificio di natura, è avvolta dal mare a somiglianza e grandezza dell’Italia, è rivolta equalmente alla stessa direzione di cielo, anch’essa ‘felice’ in quel sito”.
E per quanto riguarda i suoi abitanti: “gli Arabi sono mezzo e mezzo, metà scrupolosi mercanti, metà briganti o pirati.”

Malgrado le reali difficoltà - di territorio, di clima, di gente selvaggia all’interno - i Romani insistettero con accanimento sul dominio dell’Arabia a causa dei suoi prodotti, ormai ricercati con intensa avidità, sia per sfoggio d’eleganza sia per ricercatezza culinaria sia infine per necessità farmaceutiche: la ricerca delle famose species che entravano in svariate composizioni.

Dato il benessere economico raggiunto, non potevano più fare a meno dei molteplici prodotti provenienti dalle regioni orientali, dal di fuori dei confini imperiali: seta sempre di origine cinese, perle, profumi, erbe aromatiche. L’Arabia era al centro di queste forme di scambi commerciali, in parte come veicolo di trasmissione, in parte come diretta produttrice.

Uno dei prodotti di maggior valore insieme alle spezie ed alle pietre preziose, era la seta.

Questa proveniva da almeno 3 strade terrestri attraverso tutta l’Asia, che scorrevano su accidentati territori e finivano nel territorio dei Parti, che facevano passare le merci, gravandole però di pesanti pedaggi. Se poi si aggiunge che la Cina non esportava filati, ma indumenti già confezionati, del tutto inaccettabili per le usanze romane, occorreva la spesa di sfilare gl’indumenti cinesi e ritessere, grande lavoro alla manovalanza romana: si raggiungevano cifre elevatissime di costo, per ottenere le vesti adattate alla moda romana.

Di qui le continue pressioni del mondo romano sia sull’impero Partico, che non andranno mai a buon fine, oppure sulla rotta indo-arabica: Oceano Indiano, Mar Rosso, breve trapasso carovaniero al Nilo, e quindi sbocco ad Alessandria d’Egitto.

Vista l’impossibilità di conquistare l’asia centrale, anche dopo ripetuti tentativi, rimaneva l’altra via: l’importazione diretta dai porti Indiani, dove la seta cinese giungeva o per mare o parte via terra (catena dell’Himalaya) e parte via acqua (il fiume Gange e poi mare), ma occorreva il collegamento con l’Oceano Indiano.

Accanto alla seta c’era un altro gran numero di prodotti asio-africani che si convogliavano sui porti del Mar Rosso ed erano ormai fortemente richiesti dai mercati romani.

Tutta la politica riguardante l’Arabia, da Augusto in poi, tendeva ad assicurarsi i prodotti orientali particolarmente richiesti. Come abbiamo visto, sin dal tempo degli Egizi si sapeva che il territorio Sabeo (Yemen) produceva spontaneamente incenso e mirra, indispensabili ormai a cicatrizzare ferite sanguinolenti.

Ma ai porti Sabei giungevano molti prodotti dall’opposta sponda africana: cinnamomo e avorio in cambio dei prodotti che il Mediterraneo inviava a sua volta. La rotta delle spezie dell’Oceano Indiano si era trasformata completamente in una ricchissima via di scambio commerciale import-export dall’India al bacino del Mediterraneo e viceversa.

Da registri e documenti di epoca imperiale abbiamo questo elenco di prodotti a Roma:

PRINCIPALI IMPORTAZIONI OLTRE ALLA SETA

Nome italiano - Paese d’origine
Acoro dolce - M. Nero, Asia centrale, India
Aloe - Cina, Malacca
Amomo - Nepal, India
Assafetida - Persia, Media, Armenia
Balsamo - Arabia, Palestina, Africa orientale
Bdellio - India
Benzoino - Asia S-E, Cambogia, Sumatra
Canfora - Giappone, Formosa, Tonchino
Cardamomo - Malabar (India)
Cassia - Cina, Asia S-E
Chiodi di garofano - Molucche
Cinnamomo (cannella) - India, Sri-Lanka
Cipero - India
Comino reale - Africa Orientale, India
Curcuma domestica - Cina, India
Galanga - Cina S, Malacca
Giunco dolce - India, Sri-Lanka
Incenso - Arabia S., Somalia
Mirra - Somalia, Abissinia, Arabia
Noce moscata (frutto) - Malabar, India
Pepe lungo - India settentrionale
Pepe nero - India meridionale
Putchuk - India
Sanatutto - Persia, Afganistan
Sandalo - Cina, Giava, India, Sri-Lanka
Sarcocolla - Persia
Sesamo - Africa, India
Spigonardo - Himalaya
Zenzero - Malacca, Indonesia, Africa orientale

PRINCIPALI ESPORTAZIONI (oltre a vino, olio, frumento, manufatti varii, indumenti e statue)

(su due colonne)
Abrotono - Ginepro
Aglio - Iris
Alcanna - Issopo
Alloro - Lentischio
Ammoniaca - Ligustro
Aneto - Maggiorana
Ascalonia - Meliloto
Asfodelo - Menta
Assenzio - Nardo (vari tipi)
Balanite - Papavero
Balsamo (colt.) - Prezzemolo
Basilico - Rafano
Camomilla - Rosmarino
Cappero - Rucola
Cerfoglio - Ruta
Cicoria - Salvia
Cipolla - Santoreggia
zafferano - Sedano
Dittamo - Senape
Erba medica - Silfio
Erba di Spagna - Storace
Ferula - Terebinto
Finocchio - Timo

Le spedizioni militari romane per conquistare la penisola arabica si succedettero senza grandi successi per 10 anni, fino a circa il 20 a.C.
Da questa data in poi cesseranno i tentativi romani di conquistare con la forza la penisola araba: Augusto cambierà tattica.

La seconda mossa: l’astuzia

Esiste un documento anonimo, scritto intorno all’80 d.C. ma che riproduce la situazione di 70 anni prima, al tempo di Augusto. Questo documento, il Periplus Maris Erythraei, descrive l’intero itinerario a cominciare dai porti Egizi di Berenice e di Myos Hormos (attuale Al-Qusair) e da Leukè Kome sulla costa Arabica, e segna i vari porti successivi, indicando la distanza (in miglia o in stadi o in giornate di navigazione). In ogni porto elenca le merci a disposizione, sia quelle da poter sbarcare che le altre da poter imbarcare.

Le merci del Mediterraneo arrivavano in grande quantità nei singoli approdi, richieste sia dagli abitanti locali sia dagli agenti romani trasferiti sul posto, vogliosi di prodotti delle loro patrie lontane: nei vari porti e città da essi abitati si era creata una catena d’insediamenti di personale greco-romano, che continuava propri usi e costumi, richiedendo i prodotti della terra d’origine o analoghi.

La presenza di agenti commerciali greco-romani nelle città Arabiche e Orientali è documentata dai numerosi rinvenimenti di monete romane, ben distinguibili dalla fattura, dal conio, dalle immagini dei sovrani dell’epoca: partono da Augusto, con largo seguito di pezzi coniati in età posteriori, non soltanto del primo Impero, ma anche delle età più tardive, gli imperatori del IV, V e perfino del VI secolo, che mostrano continuità mai interrotta.

Tutto questo attesta la presenza di operatori commerciali romani, non solo mercatores, ovvero mercanti, ma anche cambiavalute, che tenevano vivi gli scambi e il consumo dei prodotti delle patrie d’origine, accanto alle merci orientali sempre presenti nelle regioni del Mediterraneo.

Augusto era finalmente riuscito a penetrare nel mondo Arabo, non con la guerra, ma con la forza del denaro, con le donazioni, i regali inviati generosamente ai dirigenti delle comunità arabiche, come ben testimonia il Periplus che riporto integralmente (nel prossimo post) tradotto da me in italiano dall’originale traduzione inglese di Casson del 1989 dal greco.

- CONTINUA -

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